15 febbraio, fonte "Corriere della Sera"
«Quando l'ho accarezzato al buio e lui mi ha detto: mamma
stai sorridendo».
«Sa che volevamo scrivere un libro? Titolo: L'altro lato della piadina». Sorridono, Lidia e Michele, nella cucina della loro casa spaziosa, vitale, entropica, ad ampie vetrate che ritagliano il lungolago. «Nostro figlio non la mangia: la sfoglia».
«Sa che volevamo scrivere un libro? Titolo: L'altro lato della piadina». Sorridono, Lidia e Michele, nella cucina della loro casa spaziosa, vitale, entropica, ad ampie vetrate che ritagliano il lungolago. «Nostro figlio non la mangia: la sfoglia».
Così immaginano ad alta voce, capitolo per capitolo, quel che
vorrebbero raccontare al mondo, di un mondo che la letteratura scientifica
definisce «spettro» tanto la sua proiezione è sterminata, che ha regole proprie
assai diverse da tutte le altre, e che loro abitano insieme a Matteo, il loro
bambino di sette anni e mezzo. «Spettro autistico, proprio così.
Quando lo
specialista ce lo disse, lacrimoni. Eravamo reduci da un'estate difficile, che
nostro figlio aveva passato da solo, a tirare sassi nel mare. Fino a quel
momento non pensavamo avesse problemi. Poi, quando è nato suo fratello
Alessandro, c'è stata una vera chiusura». Chiusura, già: è forse questa
l'immagine più stringata e consueta per definire lo stato di chi soffre di
autismo. Ma non è così semplice.
«Matteo è ambivalente: vive in se stesso, ma
cerca la relazione. Per esempio ama molto osservare il traffico. Se ti metti
lì, lui quel traffico che sta guardando te lo racconta. Certo, con un lessico
tutto suo. Con una sintassi disordinata, che non coordina sempre coniugazioni e
tempi verbali. Ma te lo racconta». Michele conferma; la ascolta, annuisce,
aggiunge qualche aggettivo. Lei prosegue a raccontare, a modo suo, con
un'immagine forte e la più ammirevole antiretorica: «La mia relazione materna è
come un viaggio allucinogeno. A volte mi prende bene, a volte no».
Mentre lo
dice, i suoi occhi raccontano benissimo due cose: cosa significhi soffrire per
le immense fatiche anche intuitive «Capire Matteo è complicato» e quanto
ostinata possa essere la forza di chi vuole conquistarsi con rabbia e amore il
passaporto per quella terra sconosciuta che è suo figlio. Dice: «Sia chiaro, io
non mi sento vittima del mio bambino. Dei codici, spesso. Per esempio, è
riconosciuto che i supporti informatici possano cambiare radicalmente il modo
di stare nel mondo dei nostri figli Matteo con l'iPad è un fulmine, in altro
modo non scrive, eppure computer e tablet non sono considerati ausili dalla
legge che ne regolamenta la fornitura. E i bandi regionali prevedono contributi
solo per i disabili con disturbi specifici dell'apprendimento, tagliando fuori
tutti gli altri». Ma quelli che lei chiama «tutti gli altri» non sono pochi. E
sono tutti diversi. «Matteo non sopporta la frustrazione. La mattina chiede
"cosa facciamo?" e qualsiasi cosa la dobbiamo fare nell'esatto modo
in cui lui è abituato. In caso di imprevisti, bisogna trovare alternative che
non lo agitino, e in fretta, sennò è crisi.
Quando succede in pubblico è ancora
meno divertente, senti addosso gli sguardi di rimprovero delle altre persone
che ti hanno incasellato nella categoria "madri incapaci che viziano i
figli". Per andare al supermercato dobbiamo fare sempre la stessa strada.
A volte un semplice piatto di orecchiette può scatenargli il panico, perché chissà
in quelle forme cosa può aver visto.
È iperacusico, cioè sente rumori che ci
sono ma non percepiamo, e quelli forti non li tollera, pertanto non possiamo
andare alle feste di compleanno. Vero è che, se anche ci andassimo, Matteo non
sa giocare.
Ama il tramonto e le onde, il che vuol dire che si ferma a
guardarli per ore. Ti chiedi: lo porto via o mi metto lì con lui? Ti chiedi:
posso togliergli un momento di piacere, se anche questo piacere significa
chiusura? Il week end è faticoso. Ti dici: ora mi riposo. Se lo lasci per conto
suo, lui ci sta ma è giusto? Per lui il passato è tutto ieri. E non dimentica,
trattiene il particolare. Non sbaglia mai: ricordi, strade. Però non sa
vestirsi. Per insegnargli a mettere le calze gli devi spiegare come afferrarle,
come portarsele ai piedi e quindi metterle.
A volte guardo gli altri genitori,
gli altri bambini. E penso che noi non saremo mai liberi». Sono stanchi, ma
sorridono. E continuano a volercela fare. «Poi pensiamo che sì, lui sa tirarci
fuori tanta rabbia, ma anche tanto amore.
Ci ha insegnato un nuovo modo di
stare in coppia e in famiglia. In questa casa vige una regola: non siamo tutti
uguali. La vera inclusione è questa». E infine, dopo aver raccontato la loro
prevedibile e imprevedibile routine, Lidia si abbandona a un ultimo pensiero.
«Il bello di Matteo è che... sente. Una mattina l'ho svegliato. L'ho
accarezzato, eravamo al buio. E lui, sa cosa mi ha detto?»
Gli occhi le si
illuminano. «Mi ha detto: mamma, stai sorridendo».
2 commenti:
Quanta sensibilità in chi viene considerato diverso
Per essere genitori di bambini speciali bisogna diventare speciali
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