“Per
stare dietro a mio figlio ho lasciato il lavoro. Simone ha 19 anni, è costretto
a letto da una grave disabilità e ha bisogno di assistenza 24
ore su 24, sette giorni su sette. Io non posso prendermi una sera per uscire a
cena con gli amici. E non ho nemmeno tempo di fare la spesa o andare dal medico
quando sto male”. La situazione di Chiara Bonanno è simile a quella di migliaia
di family caregiver, ovvero quelle persone che ogni giorno si
dedicano in ambito domestico alla cura e all’assistenza di un familiare non
autosufficiente, a causa di gravi malattie o disabilità. Si sentono “agli
arresti domiciliari senza avere commesso alcun reato”, non hanno accesso a
diritti fondamentali come riposo, salute, vita sociale, realizzazione
personale. Per questo il Coordinamento nazionale famiglie di disabili gravi e
gravissime ha organizzato una raccolta di firme per una petizione che
verrà consegnata al Parlamento europeo il 27 gennaio. La
richiesta a Bruxelles è di intervenire perché l’Italia è uno dei
pochi Paesi dove la figura del family caregiver non è riconosciuta e non
ha diritto ad alcuna forma di tutela previdenziale, sanitaria e assicurativa.
Tutele, si legge nella petizione, “peraltro previste dalla legislazione
italiana per prestazioni lavorative anche di natura atipica come quelle di tipo
volontaristico”.
“Nessun diritto a riposarci, curarci o avere
una pensione. Siamo invisibili”. Le firme raccolte sono più di32mila. Segno di
una cosa: quello che lo Stato garantisce a chi si occupa della cura di un
proprio caro non basta.
Chi ha un lavoro può stare a casa tre giorni al mese e
ha la possibilità di chiedere un’aspettativa di due anni: “Troppo poco, io non
ho mai un’ora di riposo”, spiega la presidente del coordinamento Maria
Simona Bellini, che oltre a seguire la figlia 26enne affetta da una grave
disabilità cognitiva e il compagno, anche lui disabile, è riuscita a mantenere
il suo posto chiedendone la trasformazione in telelavoro. “Se la
condizione di non autosufficienza è permanente, due anni di aspettativa volano
via velocemente. Molti di noi si dedicano alla cura del proprio famigliare
anche per dieci, venti anni. A volte di più. E lo Stato non si fa carico del
versamento di alcun contributo previdenziale per questa attività. Alla fine uno
che ha dovuto lasciare il lavoro si ritrova pure senza pensione”. E
a questo si aggiunge la difficoltà di curarsi in caso di malattia, perché la
persona assistita non può essere lasciata sola. Eppure il family caregiver
stesso è una figura a rischio: “Le patologia prodotte da questa condizione
lavorativa gravemente usurante – scrivono i promotori della petizione – sono
equiparabili alle malattie professionali”.
I
soldi, poi, sono sempre pochi. Difficile pagare qualcuno che sostituisca il
caregiver per qualche ora perché si conceda un po’ di svago. Una persona con
disabilità grave, in realtà, ha diritto a un’indennità di accompagnamento.
“Ma questi soldi – sottolinea Bellini – non sono mai sufficienti per tutte le
spese necessarie. E poi sono della persona disabile, non sono qualcosa che
viene riconosciuta e assegnata direttamente al famigliare che lo assiste”.
Insomma, il caregiver per lo Stato non esiste. Evocativo a tal proposito è il
titolo del blog “La cura invisibile”, curato da Bonanno, tra i promotori anche
della battaglia sul nuovo Isee, che prevede parametri sfavorevoli
per i disabili più gravi.
“Italia
maglia nera d’Europa. Anche in Grecia il caregiver è più tutelato”. La petizione al Parlamento europeo non è
la prima iniziativa del Coordinamento nazionale famiglie di disabili gravi e
gravissimi, che ha un gruppo Facebook con più di 3mila like. In passato si è
battuto perché in Italia venisse approvata una legge per il prepensionamento di
chi ha familiari con disabilità gravi. Negli ultimi vent’anni la legge è stata
presentata più volte in Parlamento. “Nel 2010 era pure stata approvata alla
Camera – racconta Bellini – ma poi è stata bloccata in commissione
Bilancio al Senato perché non hanno voluto garantire le coperture con
un aumento delle accise sui superalcolici. Nonostante ciò lariforma Fornero ha
successivamente aumentato l’età pensionabile anche per noi, senza prevedere
alcuna forma di salvaguardia”.
Il
legislatore, inoltre, non ha mai preso in considerazione la possibilità di
garantire ai family caregiver né una pensione per la loro attività di
assistenza, né un’indennità o assicurazione per malattia. Così il Coordinamento
ha portato in tribunale l’Inps per chiedere all’ente di farsi
carico del versamento dei contributi. Il ricorso è stato finora respinto prima
dal tribunale del Lavoro di Milano, poi da quello di Roma,
che lo scorso ottobre lo ha dichiarato inammissibile perché privo della
quantificazione del valore delle prestazioni previdenziali e assistenziali
richieste. Un’altra causa dovrà essere discussa a Palermo e
altri ricorsi sono in via di preparazione. In attesa che anche Bruxelles
dica la sua.
Caregiver
in Europa, persino la Grecia fa di più. InGermania – spiega il coordinamento
– il sistema sanitario-assicurativo dà diritto a chi assiste un familiare
disabile a contributi previdenziali garantiti, se dedica all’attività di
assistenza più di 14 ore alla settimana, e a una sostituzione domiciliare in
caso di malattia. Forme di assicurazione contro gli infortuni e di previdenza
sono concesse anche ai caregiver francesi, che in diversi casi
hanno diritto pure a un’indennità giornaliera, e a quelli spagnoli,
che in caso di interruzione del proprio lavoro mantengono la base contributiva
dell’attività interrotta. Anche in paesi con un’economia più debole della
nostra le tutele dei caregiver sono maggiori: inGrecia, per esempio, chi
decide di dedicarsi alla cura del proprio caro ha diritto al prepensionamento
dopo 25 anni di contributi versati.
“Non
vogliamo rinchiudere i nostri cari in istituti di ricovero”. Niente di tutto ciò viene concesso ai
caregiver di casa nostra, ai quali spesso non resta altra soluzione che cedere
a quello che considerano un “ricatto”: fare ricoverare il proprio caro in una residenza
sanitaria assistenziale. “Lasciare la persona disabile in questi istituti,
anziché farla rimanere a casa sua, nel suo ambiente e tra i suoi affetti, è
come farla rinchiudere in galera – sostiene Bonanno -. E c’è un’altra conseguenza.
Il ricovero in queste strutture private convenzionate costa allo Stato, e
quindi alla collettività, anche più di 700 euro al giorno”. Più di
quanto costerebbe concedere qualche tutela in più ai caregiver. Un paradosso
sottolineato anche dalla petizione, che oltre a chiedere all’Europarlamento un
intervento perché per i family caregiver italiani “vengano rispettate politiche
sociali di sostegno adeguate all’intensità del lavoro di cura cui sono
sottoposti, senza alcun vincolo di bilancio”, chiede anche di approfondire
“l’aspetto che vede lo Stato italiano stanziare fondi ingenti per gli istituti
di ricovero per persone con disabilità e di contro riservare somme minime e
residuali al sostegno delle stesse persone a casa propria”.
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