C’è da non dormire la notte, pensando al destino di un figlio
disabile. C’è l’angoscia, l’incapacità di elaborare piani e strategie. E poi
c’è la quotidianità alle prese con l’autismo, il ritardo mentale e la non
autosufficienza: c’è la fatica del giorno che tutto assorbe e tutto cancella.
Fino alla notte successiva. Le associazioni che raggruppano i familiari di
questi malati conoscono che battaglia si gioca sul campo del “dopo di noi”,
perché ne vivono il “durante”: in Italia il problema tocca 3,2 milioni di case,
coinvolgendo tra il doppio e il triplo della popolazione (madri, padri,
fratelli o sorelle). E l’allarme sui disabili che vivono soli, perché
sopravvissuti alle loro famiglie o abbandonati, è ancora più eclatante: 630mila
ad oggi, di cui tra i 40 e i 60mila hanno meno di 64 anni, mentre la maggior
parte (580mila) ha dai 65 anni in su. Secondo i calcoli dell’Istat potrebbero
aggiungersi nel giro di un anno altre 2.300 persone. Altre 12.600 entro 5: un
costante aumento che entro il 2019 toccherà la cifra di 13mila.
«Eccoli
qui i numeri dell’emergenza – esordisce il presidente della Fish (la
Federazione italiana per il superamento dell’handicap), Vincenzo Falabella –.
Ed ecco qui le ragioni per cui una legge sul “dopo di noi” è così
indispensabile al nostro Paese, nella cornice della piena applicazione e del
riconoscimento di due principi fondamentali: quello sancito dalla convenzione
delle Nazione unite sui diritti delle persone con disabilità all’articolo 19,
che stabilisce il loro diritto a vivere nella società con la stessa libertà di
scelta delle altre persone, anche quando si tratta del luogo di residenza. E
poi l’articolo 14 della legge 328/2000, secondo cui per le persone con
disabilità è necessario predisporre progetti personalizzati». Il piano
cartesiano è tracciato, dunque: ora sui due assi bisogna iniziare a costruire.
Cominciando a garantire per legge quello che finora ai genitori di figli
disabili è stato garantito solo dal mondo dell’associazionismo privato:
«Strumenti giuridici che permettano loro, con anticipo e in tranquillità, di
pianificare il futuro dei propri figli», aggiunge Falabella. Al centro della
questione il superamento della vecchia “interdizione” (normativa molto più
dispendiosa in termini di costi processuali e di costi esistenziali per la famiglia,
che di fatto deve promuovere una causa contro il figlio) a favore della figura
dell’amministratore di sostegno o del “trust”, secondo cui si dispone il
mantenimento e la cura del figlio disabile attraverso una gestione
professionale del patrimonio (di cui quest’ultimo diventa proprietario
effettivo alla morte dei genitori).Ma c’è molto altro da fare. «Una questione essenziale per noi è la deistituzionalizzazione del problema – avverte Emilio Rota, presidente della Fondazione Dopo di noi Anffas –: lo Stato non può continuare a considerare i nostri figli disabili come semplici ammalati, da sistemare in strutture dove sia assicurato loro vitto e alloggio. Peraltro la crisi degli ultimi anni ha messo a nudo la debolezza di questa soluzione, visto che in queste stesse casecomunità da un numero di 10, massimo 12 persone (il limite affinché la vita e il progetto di ciascuno sia dignitosamente seguito) si prevede di dover salire anche fino a 40 ospiti».
Che fare? Per l’Anffas la logica da premiare è quella delle “palestre dell’autonomia”, spazi in cui insegnare ai ragazzi a vivere insieme senza mamma e papà. Possono essere appartamenti presi in affitto, «oppure proprietà che vengono messe a disposizione dalle famiglie
per questi progetti», continua Rota. All’attivo la Fondazione Dopo di noi ha già due esperienze di successo a Trieste e Ragusa: «Un educatore è il perno della vita nella “casa”, questo è ovvio, ma i disabili vengono gradualmente impegnati in un progetto che li avvia all’autonomia. L’aspetto fondamentale di queste microcomunità – continua Rota – è che a fronte di progetti personalizzati i costi sono estremamente contenuti ». Tutto il contrario delle strutture residenziali, dove a costi elevati si accompagna l’inevitabile standardizzazione dei percorsi. «Ci aspettiamo che con l’approvazione di questa legge si comincino a mettere a fuoco questi problemi: i fondi previsti dal governo sono importanti, ma non esauriscono affatto la complessità dei bisogni – conclude Rota –. Come limitarsi a parlare di “disabilità intellettiva” non fa giustizia alle infinite sfumature cui ci troviamo innanzi ogni giorno nell’accogliere le famiglie che hanno bisogno di appoggio»
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