venerdì 26 dicembre 2014

Il sociale nel 2014. Per i deboli la coperta è sempre "troppo corta"

A quanti chiacchierano, senza rendersene conto, di diritti...

fonte redattoresociale.it

Non profit e terzo settore tornano protagonisti, ma le politiche pubbliche ancora non sfondano: il mondo del sociale si lascia alle spalle un altro, ennesimo anno colmo di difficoltà e di problemi, resi ancor più pesanti dalla loro ormai conclamata cronicità e dalla lentezza – per molti versi pachidermica – con cui si è in generale provato ad affrontarli. Le conseguenze della crisi economica pesano come macigni sulla parte più fragile della popolazione, ma le politiche pubbliche per il sostegno e l’aiuto, ogni anno che passa, arrancano sempre di più. Si vive nell’illusione che quel poco che si fa possa bastare per invertire la rotta, schiacciati sull’argomento – ed è il ritornello di sempre – che “la coperta è troppo corta” e che non ci si possono permettere delle “fughe in avanti”. E il settore delle politiche sociali, che vive da sempre con risorse pubbliche largamente sottostimate rispetto ai bisogni, rimane di fatto fermo al palo.
Abbiamo vissuto altri 12 mesi senza neppure l’ombra di una riforma strutturale, senza un convincente piano nazionale contro la povertà, senza un sostegno alla non autosufficienza che andasse oltre il minimo sindacale, senza neppure quelle risposte che le persone con disabilità attendono da tempo e che almeno per decenza sarebbe ora di dare (ad iniziare dall’aggiornamento dei Lea, livelli essenziali di assistenza, e dalla revisione di un nomenclatore tariffario degli ausili e protesi fermo all’età della pietra).
Certo, nel corso del 2014 è stato avviato e sta pian piano prendendo corpo e forma un provvedimento importante e cruciale come la riforma del terzo settore, che ingloba dentro di sé l’associazionismo e il volontariato, l’impresa sociale e il servizio civile, e che punta a liberare energie positive per il futuro, anche in un’ottica di crescita e rilancio dell’intero paese. Cosa buona e giusta, dopo decenni di attesa, ma che prenderà comunque il suo tempo per l’applicazione – la dinamica sarà di medio periodo – e che in ogni caso non comporterà un intervento diretto di “politica sociale” nei confronti delle persone in condizione di maggiore fragilità sociale.

Nello specifico, il racconto del 2014 parte con la fine prematura - era metà febbraio - dell’esperienza del governo di Enrico Letta, che in tutto il suo mandato aveva mantenuto un’attenzione flebile e sporadica ai temi del sociale, pur lasciando in eredità degli stanziamenti per il 2014 in lieve crescita rispetto agli anni del “minimo storico” che lo avevano preceduto. Nei dieci mesi seguenti è toccato a Matteo Renzi indirizzare le scelte e le politiche, e i fatti dimostrano che – come già in passato – lo sforzo maggiore per aiutare “chi non ce la fa” è stato concentrato soprattutto sugli ammortizzatori sociali legati al lavoro, poi ampliati e sostenuti dal bonus di 80 euro mensiliconcesso a partire da maggio ai lavoratori con un reddito compreso fra 8 mila e 24 mila euro annui: una misura, poi resa stabile a fine anno, pensata, voluta e realizzata con altre finalità rispetto al sostegno a chi vive situazioni di povertà e/o fragilità conclamata (e infatti due terzi della somma stanziata sono andati ai redditi medio-alti, e cioè a coloro che in proporzione spendono meno rispetto alle persone in povertà).

Con i bonus il governo Renzi (come altri esecutivi in passato) dimostra di volerci andare a nozze, se è vero che la legge di stabilità per il 2015 assegna una cospicua quota di risorse ad altri due bonus (bonus bebé per i nuovi nati e bonus acquisti per le famiglie numerose): se consideriamo che anche sulla lotta alla povertà il solo strumento a regime attualmente in campo è la vecchia e criticata “carta acquisti” (social card) – cioè una mera erogazione monetaria - ne emerge un quadro che vede questa tipologia di intervento diventare quasi uno strumento prediletto. Alla faccia delle tante critiche che da sempre gli addetti ai lavori gli indirizzano. Giudizio troppo ingeneroso? Forse, ma gli indizi ci sono tutti: anche perché laddove si poteva osare di più e trasformare un bonus già esistente in una misura più ampia di inclusione attiva (il riferimento è alla sperimentazione della “nuova social card” contro la povertà) i risultati ottenuti nel corso dell’anno sono stati tutt’altro che trascendentali.

Con riferimento ai fondi sociali propriamente detti, invece, nel corso del 2014 sono arrivate alle regioni (per essere poi trasformate in servizi diretti ai cittadini) le risorse stanziate nella legge di stabilità del governo Letta (317 milioni del Fondo nazionale politiche sociali e 350 milioni del Fondo non autosufficienza), oltre alle cifre riferite al 2013 che incredibilmente (potenza della burocrazia) nel corso di quell’anno non si era riusciti a ripartire. Per il 2015 le disponibilità economiche decise dal governo saranno maggiori: la somma dei due fondi appena citati passa da 667 milioni dell’anno che si chiude a 700 milioni di quello che si apre, ai quali si aggiungono altri 100 milioni destinati per il 2015 ai servizi per la prima infanzia (gli asili nido). Bilancio con il segno più, dunque, ma quanta fatica per ottenerlo! (e quante proteste, comprese quelle ormai immancabili delle persone disabili sul fondo non autosufficienza).
Come già detto, l’ambito sul quale il governo ha spinto maggiormente è stato quello della riforma del terzo settore, che mira a cambiare le regole del gioco e a rinnovare – portando la normativa al passo con i tempi – un ambito dalle grandi possibilità di sviluppo. Mesi di confronto e di dibattito, una consultazione pubblica, un disegno di legge delega ora in discussione in Parlamento per una riforma che il mondo del non profit chiede da tempo e che mai come ora pare davvero possa diventare realtà.
In secondo luogo, ma le cose sono collegate, il governo può mostrare l’impegno sul versante del cinque per mille, finora azzoppato dai tetti di spesa posti via via dai vari esecutivi e che ritorna ora davvero pieno (a quota 500 milioni) con la legge di stabilità per il 2015. Più zoppicante il cammino del servizio civile, ribattezzato “universale” nella visione renziana, che ha ripreso a camminare dopo un lungo periodo di stasi, con una prognosi che per il 2015 che si annuncia positiva.

Alti e bassi, dunque, nel 2014 che si chiude. “L’anno più importante è il prossimo, è il 2015”, dice il premier Matteo Renzi riferendosi alla crescita economica e all’uscita del tunnel della recessione. Considerazione valida anche per il settore sociale. Il 2014, nonostante le speranze iniziali, non è stato l’anno della svolta. Dipenderà anche da Renzi e dal suo governo farlo diventare – a posteriori – l’anno che ha immediatamente preceduto quello della svolta. 

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