giovedì 27 novembre 2014

IL BAMBINO CHE PARLAVA CON LA LUCE

Pubblico volentieri questa recensione dell'ultimo libro del dottor M. Arduino. A scriverla è un eccellente intellettuale come Fabio Brotto, genitore di Guido, un adolescente autistico. Ricordo il link suo blog www,brotture.net che invito a visitare

Per anni e anni famiglie e associazioni hanno invocato per bambini, ragazzi e adulti con autismo un’efficace e duratura presa in carico, e purtroppo in molti luoghi d’Italia debbono farlo ancora, ricevendo risposte deboli e distratte. Questa espressione è risuonata infinite volte in incontri, convegni, corsi di formazione, dibattiti. La realtà cui essa rinvia rimane ancora in larghissima misura insoddisfacente, soprattutto per l’insufficienza delle risorse, ma anche per l’impegno e la qualità professionale e umana di chi dovrebbe gestirle, spesso ancor più insufficiente. Una presa in carico, infatti, esattamente come un’inclusione scolastica o l’inserimento in un centro diurno, può essere effettuata in un modo puramente burocratico, privo d’anima, di reale impegno, di voglia di comprendere e accettare le persone autistiche, la cui diversità rappresenta una sfida, e richiede una dedizione particolare, pena il fallimento, la sofferenza, l’adagiarsi su di una misera routine impiegatizia, nel senso peggiore del termine. Il libro di Maurizio Arduino Il bambino che parlava con la luce (Einaudi 2014) è  la testimonianza di come una presa in carico possa e debba essere anzitutto una presa a cuore. Ed è soltanto una presa a cuore dei bambini e ragazzi con autismo, e di quel che saranno e non saranno da grandi, ciò che spinge l’educatore, lo psichiatra, lo psicologo, l’operatore a cercare di comprendere l’autismo dall’interno, in quel bambino, in quel ragazzo concreto, nella sua vita quotidiana, all’interno della famiglia, della scuola, di ogni ambiente di vita.
Arduino, psicologo impegnato da molti anni sulla frontiera dell’autismo,  narra qui quattro storie di quattro diverse persone autistiche, Silvio, Cecilia, Elia, Matteo (non a caso una femmina e tre maschi vista la distribuzione della sindrome tra i due sessi), dai primi anni, attraverso il loro percorso di vita, fino alla fine del percorso scolastico di ciascuno. Sono narrazioni vivide e ben costruite, ricche di particolari, e capaci di trasmettere molta informazione sull’autismo, mostrando anzitutto la grande differenza tra un soggetto autistico e un altro, ma anche ciò che li accomuna in un unicospettro. Anche chi non sia personalmente coinvolto in queste problematiche può leggere questo libro, che pur non essendo narrativa in senso stretto, vi si avvicina molto, perché della narrativa possiede i due elementi costitutivi che determinano la fascinazione del lettore: personaggi e loro destino.
Silvio, Cecilia, Elia, Matteo sono personaggi, contornati da molti altri personaggi: genitori, educatori, compagni di scuola. La narrazione di Arduino evidenzia la natura autistica delle relazioni che i quattro protagonisti vivono, anzitutto in famiglia, mostrando come pur non uscendo dalla loro stessa natura queste relazioni possano arricchirsi, e la vita della persona autistica aprirsi a nuove possibilità, rimanendo fondamentalmente se stessa, senza subire violenza. Nel libro, il rispetto della fragilità della persona con autismo da parte di Arduino e dei suoi collaboratori si unisce ad un atteggiamento di apertura mentale, di empatia e di umiltà, alla disponibilità al tentativo di calarsi nei panni dell’altro, del soggetto autistico e dei suoi familiari:
«La sensazione, ascoltandoli, era quella di essere di fronte all’ennesima montagna da scalare. Mi capita spesso di averla, lavorando con le famiglie di bambini con autismo. I genitori mi stavano trasmettendo un misto di impotenza e fretta di agire che stavo facendo miei, consapevole che l’agire era il modo per contrastare l’impotenza.» (p. 275) «In alcune occasioni era successo che i genitori mi raccontassero di strategie efficaci a cui io non avevo mai pensato. Il denominatore comune che le accomunava era sempre lo stesso: la profonda comprensione del bambino e la capacità di vedere con isuoi occhi.» (p. 113)
Il fondamentale umanesimo di Arduino lo porta alla flessibilità nel metodo e alla critica di approcci troppo rigidi:
«Avevo insomma la sensazione che una sperimentata metodologia di trattamento dell’autismo potesse fallire perché non teneva conto di una variabile fondamentale: le emozioni, i sentimenti, i pensieri che la metodologia stessa evocava nei genitori. L’efficacia di un intervento educativo e l’uso di una tecnica testata scientificamente non sono indipendenti dalla persona che li applica.» (p.45) «I libri riportano le tecniche utilizzabili per affrontare un problema, ed è importante che uno psicologo o un terapista le conosca e le sappia applicare, ma il risultato dell’applicazione dipende da molti fattori. Le persone, per esempio, sono una variabile fondamentale. Il loro modo di pensare e di comportarsi, le loro reciproche relazioni e le emozioni che mettono in gioco costituiscono le materie prime da amalgamare per raggiungere lo scopo. È un po’ come quando si fa il caffè con la moka: la macchinetta rappresenta la «tecnica», ma il risultato finale dipende in modo determinante dalla qualità dell’acqua e da quella del caffè.» (p. 93)
Una parte importante del testo è dedicata al racconto di quello che avviene nelle scuole che i quattro frequentano, e alle situazioni particolari e spesso molto problematiche che derivano dalla legislazione italiana e dalla struttura della scuola (e dall’organizzazione del sostegno scolastico).
«Come tradurre metodi nati nelle scuole speciali di altri paesi, frequentate solo da alunni disabili, nella realtà italiana, dove bambini disabili e non si trovano nelle stesse classi? Di sicuro bisogna partire da una conoscenza approfondita dei singoli casi, delle esigenze di quel bambino specifico di cui dobbiamo occuparci, poi occorre una buona dose di creatività per adattare le strategie alle caratteristiche della scuola. » (p.118)
Destino dei personaggi, dicevamo. Alle soglie dell’età adulta ogni vicenda umana di persona con autismo si fa problematica, sospesa sul vuoto, dominata da un’incertezza angosciosa. Anche i quattro del libro, che pur hanno avuto la fortuna di incontrare professionisti preparati, impegnati e generosi, nonostante tutti i loro progressi e conquiste, non sfuggono a questa incertezza: Silvio, il bambino che parlava con la luce, ed Elia, colui che corre sul campo di battaglia, frequenteranno un Centro Diurno. Cecilia, la bambina delle corde, lavorerà in un vivaio di piante. Matteo, che vive in un mondo di numeri e si laurea in matematica, è atteso da un futuro avvolto dalle nebbie.

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