Ho
molto apprezzato la nuova versione del tuo blog che mi sembra ben impostato, a
partire dal titolo.
"Dalla
loro parte" rende infatti immediatamente l'idea di tutta la fragilità delle
persone indifese cui è riferito, persone che hanno più che mai bisogno che altri
si schierino dalla loro parte e li sostengano nelle difficili battaglie
quotidiane che la vita riserva loro.
Questo
blog mi ha portato a riflettere sul fatto che non sempre è sufficiente volersi
schierare dalla parte di chi è autistico: è molto importante saperlo fare e
riuscire a farlo aggirando tutti gli ostacoli che si creano lungo il percorso
che si vuole intraprendere.
Spesso
le difficoltà sono intrinseche alla natura stessa del soggetto in questione che
tende, non dico a farsi il vuoto intorno, ma sicuramente a tenere gli altri a
distanza di sicurezza, per cercare di controllare una situazione che altrimenti
gli sfuggirebbe di mano. Questo lo porta a innescare scaramucce, provocazioni,
atteggiamenti aggressivi proprio verso le persone che gli stanno più a cuore e
che si spendono in ogni modo per impostare una comunicazione costruttiva.
Senza
contare che poi all'esterno sono presenti altre difficoltà: il dialogo con le
istituzioni, le associazioni, gli esperti del settore, può essere complicato da
una disparità di vedute e dalla mancanza di confronto.
Un
percorso tutto in salita per chi vuole lavorare seriamente con l'autismo.
Questa
è la sensazione che ho maturato personalmente come insegnante e come volontaria
in una comunità di soggetti autistici, ma è anche la sensazione che ho colto
in alcuni colleghi di sostegno del mio istituto, dove molti sono gli alunni
disabili inseriti in laboratori gastronomici con ottimi risultati per la quasi
totalità dei casi, ma con alcune difficoltà proprio riguardanti i soggetti
autistici.
E
se spesso noi insegnanti possiamo rimanere demoralizzati per le difficoltà che
incontriamo, capisco tutta la drammaticità della considerazione di chi, come
te, dice che i genitori soffrono di problemi più grandi di quelli che affliggono
i loro figli, perché si sentono prigionieri di una soggezione culturale che li
spinge a delegare anziché proporre soluzioni ai tecnici che se ne occupano.
E' questa una considerazione che deve farci molto riflettere e che vorrei condivider con
altri sul blog.
Adelaide
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