lunedì 19 gennaio 2015

È autistico, costretto a cambiare scuola

fonte ILSECOLOXIX.IT

Genova - «I nostri figli non sono badanti o medicine. I nostri figli sono troppo piccoli, non possono stare vicini a lui...». Lui è Matteo (nome di fantasia, ndr), ha nove anni. Come tutti i bambini di quell’età va a scuola, in terza elementare. Matteo però non è come tutti i suoi compagni. Non ha la stessa loro fortuna. Matteo è un bambino autistico. I suoi sentimenti, le sue emozioni rimangono legate a quella disabilità che non ha scelto e si possono anche esprimere in modo imprevedibile. Come sono le sue reazioni.
Questo bambino, adesso, non ha più gli stessi compagni. L’isolamento che i genitori degli altri alunni hanno creato intorno a lui e alla sua famiglia, hanno costretto suo papà e sua mamma a fargli cambiare scuola. «Non potevo permettere altre umiliazioni a mio figlio e nemmeno noi le meritiamo - dice adesso il papà di Matteo, che fa l’operaio - Abbiamo deciso di cambiare scuola tra enormi difficoltà. Questa storia, però, va chiarita. Per mio figlio, per noi e per chi si trova nelle nostre stesse condizioni».
La storia di Matteo in questa scuola del ponente cittadino, comincia tre anni fa. Il piccolo è iscritto in prima elementare. «I suoi compagni gli erano tutti affezionati, lo dico sinceramente - spiega il padre - Poi qualcosa è cambiato». Convivere con Matteo non è semplice, ma nemmeno impossibile. Il bimbo, come tutti i suoi compagni, ha sentimenti, emozioni, stati d’animo. Ma la sua disabilità non gli permette di comunicarlo come gli altri. Ci sono momenti buoni, dove tutto sembra tranquillo. Poi altri, più difficili da gestire. Matteo afferra degli zaini e li lancia in aria. Oppure abbraccia un suo compagno, ma troppo energicamente. Qualche volta dice delle parolacce. Matteo poi si affeziona a qualche compagno di più che a qualcun altro. Lo fanno tutti i bambini. Lui però non sa gestire le sue emozioni, le comunica in modo diverso dai suoi amichetti. Non ha scelto di essere così.
È per quei momenti difficili che nasce la “stanza blu”. È l’aula di sostegno. A battezzarla così è stato lo stesso Matteo. Vuol dire che gli piace quel nome. Il bimbo, quando la situazione lo richiede, viene portato lì, dove ci sono i suoi giochi, un computer con attività scelte apposta per lui. Non viene lasciato solo, però. Intanto c’è sempre un’insegnante di sostegno, poi a turno, vengono scelti alcuni compagni per andare con lui. Per non farlo sentire solo, diverso.
«È qui che sono iniziati i problemi - sottolinea il padre - Al primo anno spesso accadeva che l’insegnate di sostegno che per più tempo stava insieme a mio figlio si assentasse. Questo provocava in lui delle insicurezze. Abbiamo chiesto alla scuola di provvedere, tentando di lasciare mio figlio con un punto di riferimento che non cambiasse ogni volta. Tra l’altro, Matteo, è seguito da un centro specializzato. Abbiamo studiato strategie per il suo inserimento nella classe che, a volte, non erano quelle pensate dalla scuola. Ma i nostri appelli sono rimasti tali. Abbiamo anche scritto al provveditorato, che ha chiamato la scuola». La situazione, però, peggiora. Non cambia tanto la routine della classe e la vita di Matteo. Quest’ultima non può cambiare. Ma il rapporto con i piccoli compagni sì. E non sono loro a volerlo.
A creare il vuoto attorno a Matteo sono i genitori dei suoi amichetti. Quando a casa il racconto di un bambino per un abbraccio troppo energico si trasforma in maltrattamento. Una parolaccia in una catastrofe senza rimedio. E proprio quei genitori scrivono alla scuola, all’insaputa di papà e mamma di Matteo. Nel mirino finisce la “stanza blu”, promossa anche dalla psicologa che segue il bimbo, dove insieme a Matteo vengono lasciati, oltre all’insegnante di sostegno, alcuni suoi compagni. «La stanza blu non può funzionare da integrazione e i bambini scelti vengono utilizzati come “badanti” o “medicine” - si legge nella lettera che le famiglie dei compagni di Matteo scrivono alle maestre - Noi a quell’età non possiamo (e non vogliamo) dargli una responsabilità del genere».


1 commento:

Unknown ha detto...

Queste notizie lasciano sempre l'amaro in bocca. Sono i genitori degli altri bambini che hanno creato il vuoto intorno al bambino con autismo. Mi chiedo se ci sono state delle comunicazioni che coinvolgessero maggiormente anche le famiglie dei compagni di scuola? Il bambino è seguito da un centro specializzato per cui ci doveva essere una mediazione su come le cose dovessero essere organizzate per il bene comune. Mi sembra che se nell'autismo ci sono problemi di comunicazioni non manchino questi deficit anche tra coloro che dovrebbero i mediatori di una cultura dell'accoglienza!

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