12 Gennaio, fonte redattoresociale.it
Dall’assessorato
regionale alla sanità assicurano che nulla cambierà rispetto al passato; ma il
futuro appare tutt’altro che certo per gli oltre 30mila non autosufficienti che
risiedono in Piemonte. Con l’anno nuovo,infatti, diviene effettiva la sentenza
con cui il Consiglio di stato ha stabilito che le prestazioni fornite da
badanti, caregiver e assistenti domiciliari non debbano rientrare - perlomeno
in territorio sabaudo - tra quelle garantite dalla legge sui Livelli essenziali
d’assistenza (lea): vale a dire che a rimborsarle, d’ora in poi, non saranno
più le Asl, ma il welfare gestito dai Comuni. “Una distinzione non da poco –
assicura Andrea Ciattaglia, portavoce del Coordinamento sanità e assistenza
(Csa), gruppo interassociativo che da anni si batte per i diritti dei non
autosufficienti – dal momento che solo le prestazioni erogate dalla Sanità si
configurano come immediatamente esigibili, mentre i Comuni possono garantirle
soltanto in subordine alla disponibilità di fondi”.
Proprio il Csa era tra i promotori della battaglia
legale che da due anni si andava consumando tra la Regione e le famiglie dei
non autosufficienti: una querelle iniziata nel 2014 con due delibere della ex
giunta leghista guidata da Roberto Cota, che nel gennaio scorso (2015) erano
stato annullate dal Tar del Piemonte con un tempismo quasi cinematografico;
ancora due giorni e le prime 300 famiglie residenti a Torino si sarebbero
trovate senza rimborsi, dal momento che - in uno scaricabarile de facto – una
circolare asl le invitava a rivolgersi di lì in poi ai Consorzi socio
assistenziali, che dal canto loro denunciavano però una pressoché totale
mancanza di fondi. E se la pronuncia del Tar ha evitato in extremis lo
spalancarsi del baratro sanitario, le famiglie hanno a malapena avuto il tempo
di tirare il fiato: già in aprile, la neo giunta Chiamparino (che pure, dai
banchi dell’opposizione si era opposta alle decisioni di Cota) annunciava
ricorso al Consiglio di Stato; la cui recente sentenza - che ha ribaltato la
pronuncia del Tar - potrebbe stabilire un pericoloso precedente, con
ripercussioni anche sui 200mila non autosufficienti residenti in tutto il
paese. Per questo, a ottobre, le associazioni torinesi avevano diffuso un
appello “al Parlamento, al Governo, alle Regioni e agli Enti locali”, affinché
fossero approvati “provvedimenti per la piena attuazione e garanzia del diritto
alle cure socio-sanitarie”: primo firmatario era stato il celebre
costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, che ha ritenuto urgente riaffermare a
livello “culturale e giuridico” il diritto a tali cure.L’impressione, in effetti, è che in Piemonte si sia giocata una partita che potrebbe segnare il destino di anziani e disabili di tutto lo Stivale. Secondo l’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta, nulla cambierà per le famiglie, i cui assegni verranno coperti “con fondi delle Politiche sociali per il primo semestre 2016”; dopodiché, se la Regione riuscisse a venir fuori dal piano di rientro sottoscritto per ripianare il deficit sanitario, Saitta intende ridestinare “l’intero capitolo di spesa a carico della Sanità”. Molto meno ottimista è il Csa, che denuncia come l’amministrazione regionale si sia ficcata “in una situazione molto pericolosa, sul medio e lungo termine”. “Di fatto – conclude Ciattaglia – queste prestazioni sono uscite dal campo dei diritti per entrare in quello delle concessioni. E ciò vale non soltanto per i malati, ma per la stessa amministrazione, che d’ora in poi potrà gestire questa partita soltanto a livello di allocazione delle risorse: vale a dire che in Piemonte si è persa la possibilità di ‘battere il pugno’ sul tavolo del governo, esigendo la copertura di prestazioni che in teoria dovrebbero essere garantite dalla legge sui Lea; e che altrove, per la stessa ragione, restano immediatamente esigibili”.
Resta da vedere, inoltre, come reagiranno i comuni piemontesi, spesso già sfiancati da tagli e deficit, alla richiesta di Saitta di un “maggiore sforzo economico” per la copertura degli assegni; dal momento che, soltanto un anno fa, i Consorzi che ai Comuni fanno capo, di fronte alla medesima eventualità, avevano mostrato bandiera bianca. E non va certo meglio sul fronte dei ricoveri nelle comunità assistenziali: al netto dei due milioni promessi dalla Regione, le liste d’attesa hanno continuato a gonfiarsi fino a tocca quota 32mila anziani; molti dei quali è verosimile moriranno senza aver ottenuto un posto letto, restando dunque totalmente a carico delle famiglie. Quelle stesse famiglie che, prima o poi, rischiano di trovarsi a pagare di tasca loro anche le cure domiciliari.
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