Cara Arianna,
consentimi una premessa affatto scontata. Quando parlo o scrivo di autismo so di non possedere la verità e, per conseguenza, di non poter proporre soluzioni unanimemente condivisibili. Ti sembrerà strano questo esordio. Eppure ho incontrato, neanche troppo tempo fa, persone, in Angsa Torino, che - evidentemente prigioniere di una visione vetero-integralista - intendevano il confronto unicamente come una sorta di prendere o lasciare, convinte che tutto fosse discutibile fuorché la "loro" verità; convinte che la diversità di idee costituisse non una risorsa ma un problema; convinte che l'autismo fosse qualcosa che solo alcuni, a nome di altri, potessero correttamente gestire e indirizzare.
Il libero confronto, converrai sicuramente con me, è ben altro!
Anche per questo sono persuaso che tu abbia raccolto un'eredità molto pesante, assumendo la presidenza di Angsa Torino, e ciò giustifica la simpatia, umana prima di tutto, con cui seguo il tuo tentativo di dare un volto e un'anima a un'associazione della quale, voglio ricordarlo, resto pur sempre un modesto semplice iscritto.
Vorrei rispondere con pacatezza alle tue argomentazioni, non prima di averti nuovamente ringraziato per la partecipazione al dibattito cui questo blog cerca faticosamente di dar voce. Bene hai fatto, anche di recente, a sollecitare l'indicazione di proposte concrete, per quanto - ma posso sbagliare - non è che nei commenti pervenuti non si intravedessero idee e suggerimenti...
Circa le altre disponibilità, cui fai riferimento nella nota, per una volta voglio pensarla positivamente (io che non eccello in questo campo), nel senso che le battaglie sull'autismo penso che non si combattano solo presenziando a direttivi, assemblee e convegni, né garantendo per forza una presenza costante che per svariate ragioni non si è in grado di assicurare. In altre parole, chissà che le assenze che lamenti non siano da attribuire a ragioni molto serie, comprese una diffusa disaffezione e tendenza alla delega, retaggio di un passato che certo non passerà alla storia come modello di coinvolgimento e dibattito plurale.
Proverò io a lanciare qualche idea, e dovrai accontentarti... Cercherò di farlo tenendo anche conto, e sviluppando, alcune sollecitazioni che ho colto.
Ti dico subito che poiché non mi interessano le questioni personali non farò riferimenti diretti a dolorose vicende che ho vissuto in prima persona. Tenterò, insomma, di essere il più possibile oggettivo, e chiedo sin d'ora scusa a te e a tutte le persone che mi leggeranno se involontariamente inciamperò su questo onesto proposito.
Sono tra quelli che giudicano molto insufficiente l'azione condotta da Angsa negli ultimi anni, in particolare per ciò che attiene il rapporto con la residenzialità, e perciò con quella vasta fascia di persone rappresentata dagli autistici adulti.
Se può essere lodevole (ma, a dirla tutta, non difficilissimo...) raccogliere, come ci ricordi, delle firme a sostegno della petizione popolare sui LEA, promossa da Maria Grazia Breda (eccellente persona, cui riconosco una solida competenza ), sono però persuaso che questo sia solo un puntello, e non certamente l'architrave, di una strategia di Angsa che punti, in tempi ragionevoli, a migliorare significativamente la qualità della vita dei nostri figli.
Anche quello che tu correttamente denunci come colpevole "immobilismo della Regione" (ma esiste un atto scritto ufficiale, inviato alla Regione Piemonte, in cui l'associazione si assume la responsabilità di questa sacrosanta definizione?), a proposito di ciò che ha fatto (meglio dire "non fatto") per gli autistici adulti, boicottando vergognosamente il Tavolo istituzionale, si inscrive in una cornice che, alla fin fine, chiamerei di pura attesa messianica. Della serie: "Abbiate fede, prima o poi il cadavere passerà sul letto del fiume... Noi lo aspetteremo seduti sulla riva".
Può bastare questo atteggiamento attendista? E possiamo accontentarci di "prendere atto" che anche le Linee guida sono state disattese dall'ISS?
Voglio dire, Arianna: in attesa che tra cento anni le cose che hai indicato si realizzino, e la montagna partorisca il topolino, non varrebbe la pena cominciare a fare i conti anche con l'immediato, tanto più perché se apriamo alcuni capitoli è facile capire che ci troviamo dinanzi a un bilancio assolutamente fallimentare?
Se, per esempio, analizziamo i dati sulla residenzialità, sfrondandoli però di ogni pregiudizio personale, è facile accorgersi che la storia dell'accoglienza in strutture diurne e residenziali a Torino, come in tutto il Piemonte e nel resto del Paese, è tutt'altro che esaltante, contrariamente a quanto qualcuno, in Angsa, va sostenendo da tempo.
Non siamo solo solo di fronte a una drammatica carenza di strutture, fatto già in sé gravissimo, ma è impossibile non accorgersi, a meno di non girarsi dall'altra parte, che quelle esistenti non sono quasi mai comunità specificamente rivolte ad autistici, a persone cioè ben diverse rispetto a chi soffre di altre problematiche cerebrali accompagnate a ritardo mentale.
Non comprendere questo, o sottovalutarlo, significa di fatto assicurare copertura - più o meno consapevole - a prese in carico spesso del tutto inadeguate, proprio perché fondate sul presupposto che gli autistici siano "solo" malati mentali.
Nel corso di questi anni è mancata, in Angsa, la consapevolezza di non essere affatto davanti a una vera progettualità, fondata - come sarebbe necessario - su modelli abilitativi e riabilitativi idonei a riconsegnare le persone autistiche a prospettive di vita interessanti e possibili.
In modo miope non ci è accorti che ciò che di norma viene proposto è far trascorrere al disabile molte ore in solitudine (l'importante, anche se non viene detto, è che sia "tranquillo"...), per poi - se va bene - condurlo, a orari prefissati, a un tavolo, ad eseguire compiti stucchevoli, impostati su rigide sequenze mnemoniche, frequentemente scollegati tra loro. Pressoché zero sono le occasioni di lavoro e di contatto con il mondo esterno. Pressoché zero le strategie che si pongono come obiettivo il concreto raggiungimento di una graduale autonomia, nei limiti della condizione di ciascuno, attraverso un reale coinvolgimento della persona autistica.
Siamo in presenza di un "fare" incomprensibile in termini abilitativi, perché produce solo una modalità ripetitiva e rallentante, inutile e - aggiungo io - dannosa: una banale somministrazione di attività che poco o nulla hanno di pedagogico ed educativo, estrapolate - come sono - dal modello storico riabilitativo tipico del ritardo mentale. Una pratica che ha poche, apprezzabili, eccezioni.
Altro, Arianna, serve invece ai nostri figli: a cominciare da un'abilitazione che persegua sul serio un'autonomia individuale nella gestione di quanto appreso ("apprendere", dovremmo averlo capito, è cosa ben diversa dal realizzare gli step di estenuanti sequenze ripetute all'infinito!).
Esiste oggi un modello, di riconosciuta efficacia, con queste caratteristiche, applicabile agli autistici adulti ospiti di strutture residenziali? A mio parere sì, e risponde al nome di Superability.
Ignorare altrimenti il problema o, peggio ancora, affermare che non esiste, è solo una squallida scorciatoia che ha avuto, e ha, pesanti ricadute su tante persone autistiche.
Viene da chiedersi, Arianna, se tutti gli autistici sono uguali, se tutti debbano avere gli stessi diritti. Me lo sono chiesto anch'io tante volte, e ti confesso che ho il sospetto che non sia così (leggi in propositi il mio commento a Manuela nel post Informazione da "Autismo e società") . Che alcuni, cioè, vivano in una dimensione molto più precaria di altri, non potendo per "misteriose ragioni" (uso un eufemismo) contare sulle stesse opportunità.
I dubbi che potremmo essere di fronte a inaccettabili discriminazioni non possono essere dissipati attraverso facili smentite. Occorre invece sondarli in modo serio, con una costante azione di monitoraggio, che non è mai stata condotta finora e che, invece, è tanto più doverosa se solo si pensa che sarebbe di competenza di chi si professa (nella sua stessa ragione sociale) "rappresentativo dei genitori di soggetti autistici".
E però, in questa realtà, viene da chiedersi: "rappresentativo di cosa?". Dello stallo in cui siamo caduti? Della incapacità di suggerire ipotesi di cambiamento radicali e non di facciata?
Hai mai pensato di vedere con i tuoi occhi cosa potrebbe significare, domani, per tuo figlio, vivere in questi luoghi per trecentosessantacinque giorni all'anno? Fallo, ti prego...
Tempo fa suggerivo la stessa cosa ad alcuni scettici di Angsa. Se, come asseriscono, molti autistici trovano in queste confortevoli strutture tutto ciò di cui abbisognano, perché negare anche ai "loro" figli la possibilità di godere delle stesse eccellenti opportunità?
Non ci crederai ma la mia domanda non ha mai ricevuto risposa. Secondo te come mai?
Un'associazione non è un club. Occorre tornare alle origini, sedersi al tavolo istituzionale forti delle proprie idee e proposte, smettere di essere un soggetto residuale che aspetta che siano gli altri a dettare i tempi e i contenuti dell'agenda.
Deve, un'associazione che si rispetti, favorire innanzitutto la sottoscrizione di un protocollo capace di impedire la realizzazione di comunità a forte, se non esclusiva, matrice socio-assistenziale. Occorre, poi, presentare progetti davvero rispondenti ai bisogni delle persone autistiche, a partire dall'indicazione di un modello abilitativo, e di un tecnico capace di attuarlo, che restituiscano agli autistici (a tutti, e non a tutti meno qualcuno) prospettive di vita interessanti anziché di mera sopravvivenza.
Ecco perché, Arianna, dissento fortemente quando scrivi: "La nostra presenza è subordinata a un invito che a fatica ci possiamo conquistare con molta diplomazia e pazienza". Io ribalto completamente la tua impostazione (la stessa di tanti altri, purtroppo); trovo che sia è figlia di un inaccettabile atteggiamento remissivo che non può non condurre alla frustrazione e alla sconfitta.
Dobbiamo essere noi a stanare gli altri, a costringerli a pronunciarsi sulle nostre proposte. Chi tra loro dissente nel merito ce lo dica, perché ciò che desideriamo è innanzitutto un confronto libero e plurale, in grado di arricchire il progetto. Siamo disponibili all'ascolto, purché non si confonda - com'è avvenuto - la nostra disponibilità al dialogo con altro. Discutiamo insomma, ma alla fine, per favore, individuiamo una sintesi e vincoliamola a scadenze precise e inequivocabili.
Se capiamo di essere di fronte a una manovra dilatoria o ostruzionistica abbiamo il dovere (non la possibilità) di segnalarlo all'opinione pubblica, mettendoci la faccia e non lamentandoci al telefono con pochi intimi.
In questi casi è possibile, per dirne una, scrivere un comunicato stampa che racconti fedelmente la verità, da pubblicare sui quotidiani e da trasmettere alle redazioni delle televisioni locali (cui tanti politici non sono insensibili). Vedremo allora se, davanti a questi semplici accorgimenti, funzionari e politici di professione cambieranno "all'improvviso" atteggiamento nei nostri confronti.
La diplomazia può essere una virtù, ma anche rappresentare una camicia di Nesso o, se preferisci, un'imperdonabile debolezza nel momento in cui costituisce l'unica bussola dell'associazione.
Per quanto riguarda le alleanze io penso che non si debbano inseguire le sirene della politica. Gli alleati giusti sul piano istituzionale Angsa li ha già (penso per esempio a Eleonora Artesio, che ha dato prova di grande serietà e vicinanza al mondo dell'autismo), non possono essere cambiati sol perché le maggioranze si modificano e qualcuno (più illuso di altri) riesce a racimolare un numero di cellulare che, al massimo, garantirà un'anticamera di due ore dal passacarte di turno.
Bisogna imparare, Arianna, a conoscere da vicino il mondo della residenzialità. Parlare direttamente con le famiglie, non credere - com'è avvenuto in passato - che inviare mail per copia conforme, a cento destinatari, sia la soluzione del problema di un'informazione e di un dibattito rimasti penosamente assenti negli ultimi anni, con la conseguenza di determinare una devastante frustrazione dei soci.
A differenza di quanto proponi tu non penso che la soluzione sia quella di affidarsi a genitori tutor (tra l'altro mi piacerebbe sapere quanti di loro hanno figli ospitati in strutture residenziali, e pertanto possono trasmettere significative conoscenze agli altri...).
Credo piuttosto che solo parlando con chi quotidianamente vive questa esperienza e solo monitorando le diverse realtà potrai davvero farti un'idea precisa di quale sia la condizione reale. E' solo partendo da qui che si potranno costruire i progetti di cui ti parlavo prima.
Angsa, e ogni altra associazione, deve rivendicare un ruolo da protagonista: per farlo non serve (se non marginalmente) l'arte della diplomazia di cui scrivi. Serve un'altra cosa, molto più difficile da conquistare: diventare davvero credibili!
I nostri figli, e a maggior ragione i loro genitori, non possono aspettare a lungo. Prima ti confessavo di temere che gli autistici non siano tutti uguali. Affermo ora che questo è tanto più vero per i loro genitori. Conosco, e sarò lieto di fartele conoscere, persone stupende, gente semplice che fatica a scrivere una lettera e quando la scrive non sbaglia solo i congiuntivi; persone che economicamente faticano a sbarcare il lunario e che a tutto questo aggiungono la disgrazia di avere un figlio o una figlia autistica; persone quasi mai raggiunte dai salotti buoni dell'autismo che scelgono evidentemente altri interlocutori "più raffinati".
Davvero tu pensi che Angsa possa limitarsi ad affermare "Alle problematiche dei singoli casi possiamo dare solo un supporto di indicazioni alla famiglia che deve lottare in prima linea"?
Possibile che tu non abbia valutato il rischio del ricatto che incombe su questi genitori, nel momento in cui lamentano la condizione dei loro figli? Che non ti renda conto che, in questo modo sciagurato, "i casi singoli" si moltiplicheranno? Ti girerai anche tu dall'altra parte, finendo di fatto per diventare connivente, com'è successo in passato a chi si è sentito dire: "Si prenda suo figlio e gli trovi un'altra sistemazione", senza che Angsa Torino (e non solo Angsa Torino, a dire il vero...), abbiano (vergognosamente) mosso un dito contro simili atti di prevaricazione e arroganza?
Ecco, Arianna, avrei molte altre cose da dire ma non voglio stordirti oltre né rischiare di annoiare chi mi legge. Spero che tu abbia compreso che lo stress dei genitori viene da lontano e ha ragioni molto facili da comprendere. Non abbiamo bisogno (se però preferisci dico "non ho") di lezioni magistrali tenute da dotti professori.
Tutto questo per dire che non ci sarò venerdì 1 marzo ad ascoltare Marc Serruys sul tema "Autismo e stress" . Non ci sarò perché quel giorno mio figlio mi aspetta in comunità per trascorrere qualche ora con me a casa (e io sono solo, non dimenticarlo) ma, te lo confesso con grande onestà intellettuale, non sarei venuto comunque. Le parate, anche se prestigiose, non fanno per me, tanto più se sono dedicate a questioni di cui colpevolmente facciamo finta di non conoscere l'origine. Meglio sarebbe parlare dei temi che sono più vicini a noi e ci condizionano la vita. Se il professor Serruys fosse d'accordo mi dichiaro fin d'ora disponibile, insieme a Gabriele, e solo dopo che gli avremo offerto un caffè, a portarlo in tour per per mostrargli dove, e come, vivono molti autistici (si stresserà?).
Grazie comunque dell'attenzione. Non mancherà occasione, spero, di approfondire con te alcuni temi e introdurne di nuovi. So bene che in Angsa (e non solo) ciascuno fa del proprio meglio, a cominciare da chi ha incarichi di responsabilità: l'ho sempre riconosciuto, apprezzato, non ho mai mancato pubblicamente di sottolinearlo. Il punto, però (se non vogliamo perpetuare le leggende metropolitane del passato che indicavano pretestuosamente in ogni critica un attacco personale, che invece non stava né in cielo né in terra) non è fare qualcosa, bensì fare la cosa giusta, quella che davvero serve ai nostri figli. E farla non in tempi biblici.
Mi viene in mente, in proposito, chi, pur di giustificare l'ingiustificabile, mi ricordava anni addietro la vecchia locuzione latina "Gutta cavat lapidem" (la goccia perfora la pietra). Peccato che io non abbia potuto spiegarne il significato a Gabriele... Se questo non è avvenuto, credimi, non è certo solo perché lui non conosce una parola di latino!
Un abbraccio e un saluto
P. S. Questo post riprende la discussione che si è avviata con "Autismo: i tanti Gabriele" (lo troverete nell'archivio). Chiedo a tutti il favore di diffonderlo per allargare un confronto del quale molti avvertono il bisogno.
Tutti possono partecipare: associazioni (non solo Angsa), educatori, familiari, insegnanti, persone che non devono avere per forza figli o parenti autistici...
Mi stupisco che il contatore del blog segnali un numero abbastanza elevato di pagine visualizzate, ma che a ciò non consegua sempre un intervento diretto. Ho avuto modo di sentire persone appellarsi al "riserbo piemontese" (mah!) per giustificare la loro titubanza a intervenire.
"... Riserbatevi" di meno, direi con una battuta, perché ci sono temi molto seri che potete sicuramente arricchire con il vostro contributo. Fatelo non per me ma per tanti autistici che ne hanno necessità.
Ricordo che tutto sarà pubblicato senza alcuna censura. Chi non avesse ancora capito come si inviano i commenti vada, per favore, nell'archivio sulla destra della home page, sul post che si intitola "A proposito di commenti". Chi proprio non ce la fa mi invii una mail e provvederò io stesso alla pubblicazione (uno dei miei indirizzi di posta elettronica è gianfranco.vitale@libero.it).
Leggi tutto...
consentimi una premessa affatto scontata. Quando parlo o scrivo di autismo so di non possedere la verità e, per conseguenza, di non poter proporre soluzioni unanimemente condivisibili. Ti sembrerà strano questo esordio. Eppure ho incontrato, neanche troppo tempo fa, persone, in Angsa Torino, che - evidentemente prigioniere di una visione vetero-integralista - intendevano il confronto unicamente come una sorta di prendere o lasciare, convinte che tutto fosse discutibile fuorché la "loro" verità; convinte che la diversità di idee costituisse non una risorsa ma un problema; convinte che l'autismo fosse qualcosa che solo alcuni, a nome di altri, potessero correttamente gestire e indirizzare.
Il libero confronto, converrai sicuramente con me, è ben altro!
Anche per questo sono persuaso che tu abbia raccolto un'eredità molto pesante, assumendo la presidenza di Angsa Torino, e ciò giustifica la simpatia, umana prima di tutto, con cui seguo il tuo tentativo di dare un volto e un'anima a un'associazione della quale, voglio ricordarlo, resto pur sempre un modesto semplice iscritto.
Vorrei rispondere con pacatezza alle tue argomentazioni, non prima di averti nuovamente ringraziato per la partecipazione al dibattito cui questo blog cerca faticosamente di dar voce. Bene hai fatto, anche di recente, a sollecitare l'indicazione di proposte concrete, per quanto - ma posso sbagliare - non è che nei commenti pervenuti non si intravedessero idee e suggerimenti...
Circa le altre disponibilità, cui fai riferimento nella nota, per una volta voglio pensarla positivamente (io che non eccello in questo campo), nel senso che le battaglie sull'autismo penso che non si combattano solo presenziando a direttivi, assemblee e convegni, né garantendo per forza una presenza costante che per svariate ragioni non si è in grado di assicurare. In altre parole, chissà che le assenze che lamenti non siano da attribuire a ragioni molto serie, comprese una diffusa disaffezione e tendenza alla delega, retaggio di un passato che certo non passerà alla storia come modello di coinvolgimento e dibattito plurale.
Proverò io a lanciare qualche idea, e dovrai accontentarti... Cercherò di farlo tenendo anche conto, e sviluppando, alcune sollecitazioni che ho colto.
Ti dico subito che poiché non mi interessano le questioni personali non farò riferimenti diretti a dolorose vicende che ho vissuto in prima persona. Tenterò, insomma, di essere il più possibile oggettivo, e chiedo sin d'ora scusa a te e a tutte le persone che mi leggeranno se involontariamente inciamperò su questo onesto proposito.
Sono tra quelli che giudicano molto insufficiente l'azione condotta da Angsa negli ultimi anni, in particolare per ciò che attiene il rapporto con la residenzialità, e perciò con quella vasta fascia di persone rappresentata dagli autistici adulti.
Se può essere lodevole (ma, a dirla tutta, non difficilissimo...) raccogliere, come ci ricordi, delle firme a sostegno della petizione popolare sui LEA, promossa da Maria Grazia Breda (eccellente persona, cui riconosco una solida competenza ), sono però persuaso che questo sia solo un puntello, e non certamente l'architrave, di una strategia di Angsa che punti, in tempi ragionevoli, a migliorare significativamente la qualità della vita dei nostri figli.
Anche quello che tu correttamente denunci come colpevole "immobilismo della Regione" (ma esiste un atto scritto ufficiale, inviato alla Regione Piemonte, in cui l'associazione si assume la responsabilità di questa sacrosanta definizione?), a proposito di ciò che ha fatto (meglio dire "non fatto") per gli autistici adulti, boicottando vergognosamente il Tavolo istituzionale, si inscrive in una cornice che, alla fin fine, chiamerei di pura attesa messianica. Della serie: "Abbiate fede, prima o poi il cadavere passerà sul letto del fiume... Noi lo aspetteremo seduti sulla riva".
Può bastare questo atteggiamento attendista? E possiamo accontentarci di "prendere atto" che anche le Linee guida sono state disattese dall'ISS?
Voglio dire, Arianna: in attesa che tra cento anni le cose che hai indicato si realizzino, e la montagna partorisca il topolino, non varrebbe la pena cominciare a fare i conti anche con l'immediato, tanto più perché se apriamo alcuni capitoli è facile capire che ci troviamo dinanzi a un bilancio assolutamente fallimentare?
Se, per esempio, analizziamo i dati sulla residenzialità, sfrondandoli però di ogni pregiudizio personale, è facile accorgersi che la storia dell'accoglienza in strutture diurne e residenziali a Torino, come in tutto il Piemonte e nel resto del Paese, è tutt'altro che esaltante, contrariamente a quanto qualcuno, in Angsa, va sostenendo da tempo.
Non siamo solo solo di fronte a una drammatica carenza di strutture, fatto già in sé gravissimo, ma è impossibile non accorgersi, a meno di non girarsi dall'altra parte, che quelle esistenti non sono quasi mai comunità specificamente rivolte ad autistici, a persone cioè ben diverse rispetto a chi soffre di altre problematiche cerebrali accompagnate a ritardo mentale.
Non comprendere questo, o sottovalutarlo, significa di fatto assicurare copertura - più o meno consapevole - a prese in carico spesso del tutto inadeguate, proprio perché fondate sul presupposto che gli autistici siano "solo" malati mentali.
Nel corso di questi anni è mancata, in Angsa, la consapevolezza di non essere affatto davanti a una vera progettualità, fondata - come sarebbe necessario - su modelli abilitativi e riabilitativi idonei a riconsegnare le persone autistiche a prospettive di vita interessanti e possibili.
In modo miope non ci è accorti che ciò che di norma viene proposto è far trascorrere al disabile molte ore in solitudine (l'importante, anche se non viene detto, è che sia "tranquillo"...), per poi - se va bene - condurlo, a orari prefissati, a un tavolo, ad eseguire compiti stucchevoli, impostati su rigide sequenze mnemoniche, frequentemente scollegati tra loro. Pressoché zero sono le occasioni di lavoro e di contatto con il mondo esterno. Pressoché zero le strategie che si pongono come obiettivo il concreto raggiungimento di una graduale autonomia, nei limiti della condizione di ciascuno, attraverso un reale coinvolgimento della persona autistica.
Siamo in presenza di un "fare" incomprensibile in termini abilitativi, perché produce solo una modalità ripetitiva e rallentante, inutile e - aggiungo io - dannosa: una banale somministrazione di attività che poco o nulla hanno di pedagogico ed educativo, estrapolate - come sono - dal modello storico riabilitativo tipico del ritardo mentale. Una pratica che ha poche, apprezzabili, eccezioni.
Altro, Arianna, serve invece ai nostri figli: a cominciare da un'abilitazione che persegua sul serio un'autonomia individuale nella gestione di quanto appreso ("apprendere", dovremmo averlo capito, è cosa ben diversa dal realizzare gli step di estenuanti sequenze ripetute all'infinito!).
Esiste oggi un modello, di riconosciuta efficacia, con queste caratteristiche, applicabile agli autistici adulti ospiti di strutture residenziali? A mio parere sì, e risponde al nome di Superability.
Ignorare altrimenti il problema o, peggio ancora, affermare che non esiste, è solo una squallida scorciatoia che ha avuto, e ha, pesanti ricadute su tante persone autistiche.
Viene da chiedersi, Arianna, se tutti gli autistici sono uguali, se tutti debbano avere gli stessi diritti. Me lo sono chiesto anch'io tante volte, e ti confesso che ho il sospetto che non sia così (leggi in propositi il mio commento a Manuela nel post Informazione da "Autismo e società") . Che alcuni, cioè, vivano in una dimensione molto più precaria di altri, non potendo per "misteriose ragioni" (uso un eufemismo) contare sulle stesse opportunità.
I dubbi che potremmo essere di fronte a inaccettabili discriminazioni non possono essere dissipati attraverso facili smentite. Occorre invece sondarli in modo serio, con una costante azione di monitoraggio, che non è mai stata condotta finora e che, invece, è tanto più doverosa se solo si pensa che sarebbe di competenza di chi si professa (nella sua stessa ragione sociale) "rappresentativo dei genitori di soggetti autistici".
E però, in questa realtà, viene da chiedersi: "rappresentativo di cosa?". Dello stallo in cui siamo caduti? Della incapacità di suggerire ipotesi di cambiamento radicali e non di facciata?
Hai mai pensato di vedere con i tuoi occhi cosa potrebbe significare, domani, per tuo figlio, vivere in questi luoghi per trecentosessantacinque giorni all'anno? Fallo, ti prego...
Tempo fa suggerivo la stessa cosa ad alcuni scettici di Angsa. Se, come asseriscono, molti autistici trovano in queste confortevoli strutture tutto ciò di cui abbisognano, perché negare anche ai "loro" figli la possibilità di godere delle stesse eccellenti opportunità?
Non ci crederai ma la mia domanda non ha mai ricevuto risposa. Secondo te come mai?
Un'associazione non è un club. Occorre tornare alle origini, sedersi al tavolo istituzionale forti delle proprie idee e proposte, smettere di essere un soggetto residuale che aspetta che siano gli altri a dettare i tempi e i contenuti dell'agenda.
Deve, un'associazione che si rispetti, favorire innanzitutto la sottoscrizione di un protocollo capace di impedire la realizzazione di comunità a forte, se non esclusiva, matrice socio-assistenziale. Occorre, poi, presentare progetti davvero rispondenti ai bisogni delle persone autistiche, a partire dall'indicazione di un modello abilitativo, e di un tecnico capace di attuarlo, che restituiscano agli autistici (a tutti, e non a tutti meno qualcuno) prospettive di vita interessanti anziché di mera sopravvivenza.
Ecco perché, Arianna, dissento fortemente quando scrivi: "La nostra presenza è subordinata a un invito che a fatica ci possiamo conquistare con molta diplomazia e pazienza". Io ribalto completamente la tua impostazione (la stessa di tanti altri, purtroppo); trovo che sia è figlia di un inaccettabile atteggiamento remissivo che non può non condurre alla frustrazione e alla sconfitta.
Dobbiamo essere noi a stanare gli altri, a costringerli a pronunciarsi sulle nostre proposte. Chi tra loro dissente nel merito ce lo dica, perché ciò che desideriamo è innanzitutto un confronto libero e plurale, in grado di arricchire il progetto. Siamo disponibili all'ascolto, purché non si confonda - com'è avvenuto - la nostra disponibilità al dialogo con altro. Discutiamo insomma, ma alla fine, per favore, individuiamo una sintesi e vincoliamola a scadenze precise e inequivocabili.
Se capiamo di essere di fronte a una manovra dilatoria o ostruzionistica abbiamo il dovere (non la possibilità) di segnalarlo all'opinione pubblica, mettendoci la faccia e non lamentandoci al telefono con pochi intimi.
In questi casi è possibile, per dirne una, scrivere un comunicato stampa che racconti fedelmente la verità, da pubblicare sui quotidiani e da trasmettere alle redazioni delle televisioni locali (cui tanti politici non sono insensibili). Vedremo allora se, davanti a questi semplici accorgimenti, funzionari e politici di professione cambieranno "all'improvviso" atteggiamento nei nostri confronti.
La diplomazia può essere una virtù, ma anche rappresentare una camicia di Nesso o, se preferisci, un'imperdonabile debolezza nel momento in cui costituisce l'unica bussola dell'associazione.
Per quanto riguarda le alleanze io penso che non si debbano inseguire le sirene della politica. Gli alleati giusti sul piano istituzionale Angsa li ha già (penso per esempio a Eleonora Artesio, che ha dato prova di grande serietà e vicinanza al mondo dell'autismo), non possono essere cambiati sol perché le maggioranze si modificano e qualcuno (più illuso di altri) riesce a racimolare un numero di cellulare che, al massimo, garantirà un'anticamera di due ore dal passacarte di turno.
Bisogna imparare, Arianna, a conoscere da vicino il mondo della residenzialità. Parlare direttamente con le famiglie, non credere - com'è avvenuto in passato - che inviare mail per copia conforme, a cento destinatari, sia la soluzione del problema di un'informazione e di un dibattito rimasti penosamente assenti negli ultimi anni, con la conseguenza di determinare una devastante frustrazione dei soci.
A differenza di quanto proponi tu non penso che la soluzione sia quella di affidarsi a genitori tutor (tra l'altro mi piacerebbe sapere quanti di loro hanno figli ospitati in strutture residenziali, e pertanto possono trasmettere significative conoscenze agli altri...).
Credo piuttosto che solo parlando con chi quotidianamente vive questa esperienza e solo monitorando le diverse realtà potrai davvero farti un'idea precisa di quale sia la condizione reale. E' solo partendo da qui che si potranno costruire i progetti di cui ti parlavo prima.
Angsa, e ogni altra associazione, deve rivendicare un ruolo da protagonista: per farlo non serve (se non marginalmente) l'arte della diplomazia di cui scrivi. Serve un'altra cosa, molto più difficile da conquistare: diventare davvero credibili!
I nostri figli, e a maggior ragione i loro genitori, non possono aspettare a lungo. Prima ti confessavo di temere che gli autistici non siano tutti uguali. Affermo ora che questo è tanto più vero per i loro genitori. Conosco, e sarò lieto di fartele conoscere, persone stupende, gente semplice che fatica a scrivere una lettera e quando la scrive non sbaglia solo i congiuntivi; persone che economicamente faticano a sbarcare il lunario e che a tutto questo aggiungono la disgrazia di avere un figlio o una figlia autistica; persone quasi mai raggiunte dai salotti buoni dell'autismo che scelgono evidentemente altri interlocutori "più raffinati".
Davvero tu pensi che Angsa possa limitarsi ad affermare "Alle problematiche dei singoli casi possiamo dare solo un supporto di indicazioni alla famiglia che deve lottare in prima linea"?
Possibile che tu non abbia valutato il rischio del ricatto che incombe su questi genitori, nel momento in cui lamentano la condizione dei loro figli? Che non ti renda conto che, in questo modo sciagurato, "i casi singoli" si moltiplicheranno? Ti girerai anche tu dall'altra parte, finendo di fatto per diventare connivente, com'è successo in passato a chi si è sentito dire: "Si prenda suo figlio e gli trovi un'altra sistemazione", senza che Angsa Torino (e non solo Angsa Torino, a dire il vero...), abbiano (vergognosamente) mosso un dito contro simili atti di prevaricazione e arroganza?
Ecco, Arianna, avrei molte altre cose da dire ma non voglio stordirti oltre né rischiare di annoiare chi mi legge. Spero che tu abbia compreso che lo stress dei genitori viene da lontano e ha ragioni molto facili da comprendere. Non abbiamo bisogno (se però preferisci dico "non ho") di lezioni magistrali tenute da dotti professori.
Tutto questo per dire che non ci sarò venerdì 1 marzo ad ascoltare Marc Serruys sul tema "Autismo e stress" . Non ci sarò perché quel giorno mio figlio mi aspetta in comunità per trascorrere qualche ora con me a casa (e io sono solo, non dimenticarlo) ma, te lo confesso con grande onestà intellettuale, non sarei venuto comunque. Le parate, anche se prestigiose, non fanno per me, tanto più se sono dedicate a questioni di cui colpevolmente facciamo finta di non conoscere l'origine. Meglio sarebbe parlare dei temi che sono più vicini a noi e ci condizionano la vita. Se il professor Serruys fosse d'accordo mi dichiaro fin d'ora disponibile, insieme a Gabriele, e solo dopo che gli avremo offerto un caffè, a portarlo in tour per per mostrargli dove, e come, vivono molti autistici (si stresserà?).
Grazie comunque dell'attenzione. Non mancherà occasione, spero, di approfondire con te alcuni temi e introdurne di nuovi. So bene che in Angsa (e non solo) ciascuno fa del proprio meglio, a cominciare da chi ha incarichi di responsabilità: l'ho sempre riconosciuto, apprezzato, non ho mai mancato pubblicamente di sottolinearlo. Il punto, però (se non vogliamo perpetuare le leggende metropolitane del passato che indicavano pretestuosamente in ogni critica un attacco personale, che invece non stava né in cielo né in terra) non è fare qualcosa, bensì fare la cosa giusta, quella che davvero serve ai nostri figli. E farla non in tempi biblici.
Mi viene in mente, in proposito, chi, pur di giustificare l'ingiustificabile, mi ricordava anni addietro la vecchia locuzione latina "Gutta cavat lapidem" (la goccia perfora la pietra). Peccato che io non abbia potuto spiegarne il significato a Gabriele... Se questo non è avvenuto, credimi, non è certo solo perché lui non conosce una parola di latino!
Un abbraccio e un saluto
P. S. Questo post riprende la discussione che si è avviata con "Autismo: i tanti Gabriele" (lo troverete nell'archivio). Chiedo a tutti il favore di diffonderlo per allargare un confronto del quale molti avvertono il bisogno.
Tutti possono partecipare: associazioni (non solo Angsa), educatori, familiari, insegnanti, persone che non devono avere per forza figli o parenti autistici...
Mi stupisco che il contatore del blog segnali un numero abbastanza elevato di pagine visualizzate, ma che a ciò non consegua sempre un intervento diretto. Ho avuto modo di sentire persone appellarsi al "riserbo piemontese" (mah!) per giustificare la loro titubanza a intervenire.
"... Riserbatevi" di meno, direi con una battuta, perché ci sono temi molto seri che potete sicuramente arricchire con il vostro contributo. Fatelo non per me ma per tanti autistici che ne hanno necessità.
Ricordo che tutto sarà pubblicato senza alcuna censura. Chi non avesse ancora capito come si inviano i commenti vada, per favore, nell'archivio sulla destra della home page, sul post che si intitola "A proposito di commenti". Chi proprio non ce la fa mi invii una mail e provvederò io stesso alla pubblicazione (uno dei miei indirizzi di posta elettronica è gianfranco.vitale@libero.it).