mercoledì 17 aprile 2013

Obbligato a vivere

Sul New Work Times è stata pubblicata la testimonianza di un prigioniero in cella da 11 anni a Guantanamo, "obbligato a vivere", come egli stesso scrive. Credo che sarebbe dovere di tutti riflettere "anche" su storie come queste, a torto (troppe volte) dimenticate. 


Qui c'è un uomo che pesa 35 chilogrammi. Un altro 44. L'ultima volta io pesavo 60 chilogrammi, ma era un mese fa. Sono in sciopero della fame dal 10 febbraio e ho perso oltre 13 chili.
Non mangerò finché non mi restituiranno la dignità. Sono stato rinchiuso a Guantanamo per 11 anni e tre mesi. Non mi hanno mai accusato formalmente di alcun crimine. Non ho mai avuto un processo.
Avrei potuto essere a casa anni fa - nessuno pensa seriamente che io sia una minaccia - ma sono ancora qua. Anni fa i militari dissero che ero una guardia di Osama bin Laden, ma è un'accusa senza senso, come quelle storie dei film americani che guardavo un tempo. Neanche i militari sembrano crederci più. Ma allo stesso tempo non sembra che gli importi quanto a lungo stia qui.
Nel 2000, quando ero a casa nello Yemen, un amico d'infanzia mi disse che in Afghanistan avrei potuto guadagnare più dei 50 dollari che tiravo su in fabbrica. Così avrei potuto aiutare la mia famiglia. Non avevo mai veramente viaggiato, e non sapevo nulla dell'Afghanistan, ma ho deciso di provare. Ho sbagliato a fidarmi di lui. Non c'era lavoro. Ma quando ho deciso di andarmene non avevo i soldi per prendere un aereo e tornare a casa.
Dopo l'invasione americana del 2001 sono fuggito in Pakistan come tutti gli altri. Mi arrestarono quando chiesi di vedere qualcuno dell'ambasciata dello Yemen, poi mi mandarono a Kandahar e mi misero sul primo aereo per Guantanamo.
Lo scorso mese, il 15 marzo, ero malato nell'ospedale della prigione e mi sono rifiutato di essere alimentato. Una squadra dell'Erf (Extreme Reaction Force, squadre speciali addestrate per rispondere alle situazioni di emergenza nelle carceri) - otto agenti di polizia militare in tenuta antisommossa - hanno fatto irruzione. Mi hanno legato mani e piedi al letto e mi hanno inserito a forza una flebo. Ho passato 26 ore in questo stato, legato al letto. Durante tutto questo tempo non mi hanno permesso di andare al gabinetto: mi hanno inserito un catetere, che era molto doloroso, degradante e non necessario. Non mi hanno neanche permesso di pregare. Non dimenticherò mai la prima volta in cui mi infilarono nel naso il sondino per nutrirmi. Non posso descrivere quanto sia doloroso essere nutrito così. Appena me lo infilarono mi fece vomitare. Avevo i conati, ma non riuscivo a vomitare. Sentivo un dolore incredibile nel petto, in gola e allo stomaco. Non avevo mai provato tanto dolore prima. Non augurerei questa punizione così crudele a nessuno. Sono ancora in regime di alimentazione forzata. Due volte al giorno mi legano a una sedia nella mia cella. Non so mai quando arriveranno. A volte vengono durante la notte, quando sto dormendo.
Ci sono così tanti di noi in sciopero della fame, ora, che non ci sono abbastanza medici in grado di effettuare l'alimentazione forzata. Non succede nulla a intervalli regolari. Nutrono prigionieri tutto il giorno solo per riuscire a stare al passo. Durante un'alimentazione forzata l'infermiera ha spinto il tubo di circa 18 centimetri nel mio stomaco, facendomi male più del solito, perché era di fretta. Ho chiamato l'interprete per chiedere al medico se la procedura era stata svolta correttamente o meno. Era così doloroso che ho pregato che smettessero di nutrirmi. L'infermiera ha rifiutato. Mentre stavano completando l'operazione un po' di "cibo" è caduto sui miei vestiti. Ho chiesto di poterli cambiare, ma la guardia si è rifiutata di lasciarmi quest'ultimo brandello di dignità. Quando vengono a legarmi alla sedia, se mi rifiuto di essere legato, chiamano la squadra Erf. Così ho una scelta: posso esercitare il mio diritto di protestare per la mia detenzione, e essere picchiato, o posso sottomettermi al doloroso trattamento di alimentazione forzata.
L'unica ragione per cui sono ancora qui è che il presidente Obama si rifiuta di rimandare in Yemen i detenuti. Questo non ha senso. Sono un essere umano, non un passaporto, e merito di essere trattato come tale. Non voglio morire qui, ma fino a quando il presidente Obama e il presidente dello Yemen non faranno qualcosa, questo è quello che rischio ogni giorno. Dov'è il mio governo? Mi sottoporrò a qualsiasi "misura di sicurezza" per tornare a casa, anche se sono del tutto inutili.
Sono pronto a fare tutto ciò che serve per essere libero. Ora ho 35 anni. Tutto quello che voglio è rivedere la mia famiglia e farne una tutta mia.
La situazione ora è disperata. Tutti i detenuti stanno soffrendo profondamente. Almeno 40 persone sono in sciopero della fame. Svengono per lo sfinimento ogni giorno. Io ho vomitato sangue. E non vediamo la fine della nostra prigionia. Rifiutare il cibo e rischiare la vita ogni giorno è la scelta che abbiamo fatto.
Spero solo che, per il dolore che stiamo patendo, gli occhi del mondo guarderanno di nuovo verso Guantanamo prima che sia troppo tardi.

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