giovedì 11 luglio 2013

QUALI STRUTTURE?


Il commento che segue è stato fatto al post di Liana Baroni. Poiché non arrivano risposte da parte della presidente, Dario - l'autore - mi scuserà, e lo stesso spero facciano gli altri, se provo a dire io delle cose scomode [G. V.]

Buon giorno presidente. Vorrei chiederle se lei ritiene che le comunità multihandicap siano da preferire a quelle monohandicap. Personalmente ritengo che, nel caso specifico dei nostri figli, sia assai frustrante vivere accanto a persone che hanno i loro stessi problemi (se non peggiori). Apprezzo molto la sua competenza. Dario, dalla provincia di Benevento

Ciao Dario,

non ci conosciamo, non so - per esempio - se tu sia un papà con un figlio autistico adulto (a pelle direi di si) o altro: un  educatore, un insegnante, un volontario, chissà...



Ho trovato molto opportuna e interessante la tua domanda. Non so se i dirigenti di Angsa abbiano mai pensato quanto essa sia attuale e, in un certo senso decisiva, per il futuro delle persone autistiche che vivono, si fa per dire.., in comunità a forte impronta psichiatrica (il mio amico Giovanni Marino, presidente di FANTASIA, non sarebbe d'accordissimo con questa definizione, ma ciò accade semplicemente perché confonde l'eccezione positiva della sua fondazione con la regola, negativa, che accomuna la stragrande maggioranza delle strutture pubbliche. Provare per credere). 
Bene faremmo a riflettere sulla tua sollecitazione, perché non possiamo continuare a ignorare che la partita della residenzialità, e con essa come dici tu il futuro dei nostri figli, non si gioca solo sul "dove" vivono o andranno a vivere, ma anche (soprattutto?) sul "come" (in quale contesto? con quale modello educativo?).

Voglio dirti, Dario, qual è la mia opinione. Consapevole che il discorso va approfondito in una sede sicuramente più autorevole di questo blog e merita tutta una serie di doverosi approfondimenti, ritengo che non si possa escludere a priori la possibilità di lavorare a comunità multi-handicap come possibile alternativa al malessere che è intorno alla maggioranza di noi. 
Per esperienza diretta so che nelle comunità "specialistiche" (lo sono?) convivono situazioni, rigorosamente e talvolta sbrigativamente etichettate come autistiche, che, al di là di comode scorciatoie organizzative (i famosi e decantati gruppi differenziati, che esistono solo sulla carta) non sono spesso minimamente comparabili tra loro.
In questi posti è infatti possibile rinvenire di tutto e il suo contrario: c'è chi non è verbalizzato e chi lo è; c'è chi se la fa addosso e chi invece va in bagno in autonomia; chi vomita nel piatto in cui mangia e chi di fianco a lui assiste allo spettacolo; chi piange due ore al giorno (tutti i giorni) e chi no; chi si muove come un automa perché sotto effetto di psicofarmaci e chi tiene gli occhi ben aperti; chi trascorre il tempo sdraiato sul divano o sul pavimento (la famosa "divanoterapia", di riconosciuta efficacia abilitativa...) e chi è occupato in qualche attività, peraltro quasi sempre fine a se stessa in assenza di un vero e proprio progetto individualizzato... Continuo? 
Sei convinto come me, Dario, che tutto questo produce solo, nella migliore delle ipotesi, alienazione e può essere alla base di comportamenti via via più problematici anche in chi ne sarebbe potenzialmente più immune? 
Condividi la mia preoccupazione che se proprio vogliamo costruire comunità per soli autistici questo (almeno questo) impone di farlo per fasce omogenee ed è pura demagogia buonista affermare il contrario?

Torniamo alla tua domanda iniziale: perché non pensare a comunità multi-handicap  Io credo che tanti autistici avrebbero tutto da guadagnare, per esempio, se vivessero accanto a un down (e viceversa) o a chi soffre di un disturbo psichico "minore", piuttosto di compagni che sicuramente non possono essere di stimolo (qualcuno può smentire?) al raggiungimento di una maggiore autonomia e di una migliore qualità della vita. Naturalmente non dimentico che un autistico è portatore di bisogni speciali che richiedono interventi altrettanto speciali (ma perché: attualmente se ne giova? Alzi la mano chi risponde di si). Dunque per nessuna ragione va ridiscusso, in queste ipotetiche comunità multi-handicap l'impegno prioritario a garantire l'intervento educativo del quale c'è bisogno.

I maestri e le maestrine che nei salotti o negli incontri di routine con le mitiche istituzioni predicano di residenziali bene farebbero a visitarne uno anziché immaginare com'è fatto. Lo stesso dicasi per le icone mediatiche di ultima generazione che dichiarano pubblicamente di battersi perché gli autistici domani "in spazi adatti possano vivere  in una nube di felicità!" (che boiata pazzesca, direbbe Paolo Villaggio... Qualcuno ha capito il significato di quelle parole?).
Se scegliamo di rimanere sulla terra, invece che tra le nuvole, bene faremmo a riflettere e confrontarci sulla realtà di ogni giorno.

Mi è perfettamente chiaro che aderire a una soluzione piuttosto che a un'altra contiene delle controindicazioni che dobbiamo cercare di smussare quanto più possibile, ma non è rimuovendo il problema che daremo le risposte che meritano i nostri figli. Non sarò popolare per le conclusioni che mi appresto a fare ma sfido l'impopolarità: siamo sicuri che non sia più ghettizzante la realtà attuale rispetto a un'ipotesi che non condanni definitivamente chi ha delle potenzialità e delle attitudini a un futuro di disperazione? Di frustrazione? Di vero isolamento? 

10 commenti:

Anonimo ha detto...

E' un tema veramente complesso, c'è sempre la paura di sbagliare e io ho le idee confuse. Il post mi fa riflettere. Silvia

Anonimo ha detto...

Il coraggio di rompere un tabù. Giorgia e Grazia, genitori di Gigi

Anonimo ha detto...

Il re è nudo, inutile nasconderlo. Roberto, papà di Luca

Anonimo ha detto...

Si può non essere d'accordo (io condivido la tua analisi), non si può invece eludere il problema fingendo che non esiste. Manuela da Torino

Anonimo ha detto...

La tua domanda finale è complicatissima. Rispondo di sì e credo come te che quando si parla di comunità per i nostri figli autistici non è scandaloso pensare a come rendere meno difficile la loro vita. Claudia, mamma di Giuseppe

Anonimo ha detto...

Per un banale errore di battitura ci siamo accorti solo ora di avere inserito nel commento di stamattina entrambi i nomi al femminile. Siamo GIORGIO e Grazia, vogliate scusarci

Anonimo ha detto...

Se anziché trovarsi su "una nube di felicità", attualmente a molti autistici e alle loro famiglie capita di vivere sotto un cielo che "come un coperchio pesa greve", per dirla con Baudelaire, perché non provare a cercare altre situazioni in cui la disabilità sia quantomeno stemperata in sfaccettature diverse? Alla Perla di Torino l'accostamento funziona, è vero che si tratta di un centro diurno e non di una struttura residenziale, ma forse varrebbe la pena di provare anche in altri ambiti.
Adelaide

Anonimo ha detto...

Trovo assurdo dubitare della necessità (altro che opportunità) di costituire gruppi omogenei. Se posso suggerirti uno spunto, Gianfranco, penso che oltre che la contaminazione all'interno con altre forme di disabilità andrebbero rafforzate le occasioni di contatto, sul territorio, con la normalità... Ti pare?
Sono Giacomo, un educatore della provincia di Lucca. Complimenti per il libro: STRAORDINARIO!

Anonimo ha detto...

Condivido L'analisi di Gianfranco ma sono sicuramente convinta che attualmente non è mai stato pensato o meglio si segue ciò che un'esperto come Lucio Moderato che ha scritto il libro Superability, di cui poi appunto segue il suo modello e cioè le persone autistiche adulte devono poter condurre la vita da Adulti che significa vivere Abilitati Riabilitati tutte le ore del giorno , ogni giorno alzarsi al mattino dopo aver fatto colazione uscire per recarsi in un centro diurno dove saranno pensate le attività mirate ai bisogni della persona o a seconda svolgere un lavoro protetto e così via,fare ritorno a casa intorno le 18 e lavarsi preparare la cena insieme agli educatori e fare ancora quelle piccole cose che rilassano per concludere la gioranata. Giovanni Marino sa bene di cosa si parla da lui questo succede i ragazzi sono seguiti molto bene naturalmente da Lucio Moderato.Allora come mai in quel del Piemonte non possiamo attuare tutto ciò? perchè chi vuole tutto questo?o meglio a chi non interessa per il momento sono gli stessi salottieri di cui parlava Gianfranco se continuiamo a stare zitti facciamo sicuramente il loro gioco.Irene Demelas

Anonimo ha detto...

Sacrosanto il riferimento a Superability e all'unico vero esperto di autismo adulti che c'è in Italia (chi non è d'accordo faccia altri nomi ma dimostri anche l'efficacia dell'intervento).
Max e Mariella, genitori di Andrea: provincia di Caserta

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