venerdì 6 settembre 2013

AUTISMO E SCUOLA

Ricevo e pubblico volentieri questa segnalazione che mi è pervenuta, tratta dal  link http://www.vita.it/societa/scuola/scuola-autismo-in-oppure-out.html 


Credo che  l'articolo che si riferisce al link riportato sopra raccoglierà il 99% dei consensi: io, ahimè, faccio parte dell'1% e non me ne dispiace. 
In particolare, non condivido, pur nel rispetto di chi legittimamente ha una posizione diversa dalla mia, la scelta di quanti lasciano parcheggiati i propri figli nella scuola fino a 22-23 anni (se non oltre).
Trovo, ancor più se si è consapevoli (tanto da denunciarla...) dell'inadeguatezza di una struttura quasi mai capace di favorire una reale acquisizione di nuove abilità e competenze dei nostri figli, che sarebbe molto meglio se i genitori si attivassero per costruire, già al compimento della maggiore età, un futuro meno aleatorio per i propri cari.
Cosa faranno questi ragazzi/e quanto anche il tesoretto-scuola si sarà esaurito? A quale altro parcheggio faranno riferimento? Non è una visione assistenziale (anche questa più volte denunciata...) quella che tante famiglie finiscono col sostenere in prima persona? Questo surplus di anni trascorsi a vagare tra corridoi in attesa del suono della campanella (accetto smentite, ma ricordo che sono un ex insegnante che dopo 36 anni un'idea se l'è fatta) non sarebbe più giusto utilizzarlo per costruire qualcosa di più solido e concreto?

Un'ultima  breve considerazione: molti nomi citati nell'articolo, fin dalla premessa, si ripetono sempre uguali ormai da settimane (o da mesi?) e la cosa meraviglia fino a un certo punto...  La cosiddetta "capacità mediatica", di cui di recente mi hanno parlato anche persone molto autorevoli, sta diventando una sorta di circolo privè.
Questo, mi sbaglierò, dovrebbe renderci tutti un po' più tristi, visto che abbiamo uno straordinario bisogno di un dibattito vero, a più voci, perché no? anche dissonanti!

Scuola & autismo. In oppure out?

di Sara De Carli

La scuola sa essere davvero inclusiva per i bambini autistici? O meglio puntare su percorsi dedicati? Il servizio in edicola su Vita che, con gli interventi di Franco Bomprezzi e Gianluca Nicoletti, prova a dare delle risposte





Chi ci guarda da fuori l’ha detto senza giri di parole: «voi italiani avete incluso i bambini autistici nelle classi al pari dei termosifoni». Theo Peeters è un neurolinguista belga e pochi come lui, in tutto il mondo, hanno studiato i disturbi dello spettro autistico. Il suo giudizio è una pugnalata al cuore per quella scuola dell’inclusione che dell’Italia è sempre stato il vanto, ma che da più parti ora si sta mettendo in discussione. Non è un caso che sia proprio l’autismo a far emergere le falle del modello, perché siamo tutti impreparati e spaventati di fronte a quella che "Se ti abbraccio non aver paura" (fortunato libro scritto dal papà di un ragazzino autistico) definisce una vita «diluita nel mezzo e troppo densa ai lati». Basti allora pensare al recente arresto di due maestre in provincia di Vicenza, che nella “stanza del sostegno” (che troppo spesso è una “stanza di compensazione”) davano dell’«animale» a un ragazzone colpevole di colorare uscendo dai contorni delle figure, piuttosto che all’idea del Comune di Palermo di istituire una classe speciale per bambini autistici. La retromarcia è stata immediata, ma il dibattito è aperto.

Undici prof in un anno
Luigi Mazzone fa il neuropsichiatra infantile al Bambin Gesù di Roma. Racconta della «frustrazione » sua e delle famiglie dinanzi a insegnanti che ancora liquidano i comportamenti oppositivi di un ragazzino autistico come «maleducazione» e che «bocciano anche 2 volte perché “deve capire che non può comportarsi così”». Ciononostante è convinto che «l’idea di creare classi speciali è solo una scorciatoia per tamponare un sistema che non funziona, ma che può essere migliorato». Che l’inclusione sia un obiettivo raggiungibile, non un’utopia, lo provano i 90 ragazzini autistici che quest’estate con la sua associazione, Progetto Aita, ha inserito nei summer camp per tutti organizzati dalle più prestigiose società sportive di Catania, Milano e Roma: «C’è un tutor per ogni bambino, uno psicologo specializzato sull’autismo, che indossa la stessa divisa degli istruttori sportivi. Non c’è motivo di “marchiare” il bambino, è essenziale però conoscerlo prima e progettare nei dettagli il suo inserimento», spiega. Benedetta Demartis invece è la combattiva presidente di Angsa Novara. Sua figlia ha 22 anni e ha appena finito le magistrali: le è capitato di cambiare undici insegnanti di sostegno in un solo anno, che hanno alzato bandiera bianca. «La scuola di tutti è l’opzione migliore, ma oggi l’inclusione è solo sulla carta», dice. Dal 2002 a Novara l’associazione messa in piedi da «cinque genitori arrabbiati» offre un punto di riferimento non solo per la diagnosi e la terapia, ma anche per accompagnare bambini e famiglie nell’inserimento scolastico. La cosa inspiegabile, però, sono le resistenze che alcune scuole pongono: «Capita che alcuni insegnanti vivano la nostra come un’intromissione indebita. Ma è solo quando si riesce a formare l’intera rete che i risultati arrivano, straordinari ». Questo percorso, oggi, grava completamente sulle tasche dei genitori, con cifre che sfiorano anche i mille euro al mese: «Serve una legge nazionale che obblighi le Asl a farsi carico di questi servizi e metta fine alla terribile ingiustizia di sapere che tuo figlio potrebbe avere un futuro migliore, ma tu non hai i soldi per darglielo».
Iniziare prima
In Parlamento una proposta di legge c’è. L’ha presentata alla Camera Franca Biondelli (Pd), riproponendo il testo che nella passata legislatura si era già iniziato a esaminare: «Il primo nella storia della Repubblica che nomini l’autismo», dice. Al Senato invece si sta muovendo Manuela Serra, insegnante di sostegno del M5S, che nella Commissione Cultura ha dato il via a un tavolo di lavoro per l’autismo che valorizzi proprio la scuola. I numeri dicono che una legge è necessaria: benché in Italia non esista un dato certo, sono almeno 400mila le famiglie con un ragazzo autistico, con 3 casi ogni mille bambini. Carlo Hanau insegna all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordina uno dei recenti master voluti dal Miur per formare gli insegnanti sull’autismo: corsi che coinvolgeranno quasi 2mila professionisti. «È una rivoluzione, perché ad oggi il problema è l’insufficiente specializzazione degli insegnanti di sostegno, insieme alla mancanza di supervisione, necessaria anche per il docente più qualificato. Le “scuole polo” previste sette anni fa? Mai realizzate». E se negli Usa ci sono le liste d’attesa per essere messi in classe con un compagno autistico (pare che il rendimento si impenni), Hanau sottolinea che nessun Paese al mondo «prevede il rapporto uno a uno che abbiamo in Italia: si tratta di qualificare le risorse che già paghiamo». Il suo modello ideale quindi vede più specializzazione, l’obbligo di portare l’alunno fino alla fine del ciclo scolastico, una supervisione forte, un intervento precoce. La carta decisiva è proprio l’ultima: «l’autismo grave viene diagnosticato a 18 mesi. Fino ai sei anni la classe non esiste, il problema del “dentro” o “fuori” non si pone nemmeno. Devi lavorare lì, con interventi comportamentali realizzati all’interno della scuola, facendo una socializzazione...

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Problema delicato e complesso.
In molte scuole c'è una vera inclusione e non un parcheggio. Si potrebbe migliorare facendo convergere richieste e offerte che vanno sprecate con la disoccupazione di giovani laureati.
Adelaide

Gianvi ha detto...

Ti ringrazio dell'intervento. Pur esistendo eccezioni al malfunzionamento della scuola (aspetto però da te di vedermi indicato un esempio concreto da monitorare, perché non possiamo sempre andare avanti per slogan. Te lo dico da ex insegnante.), ti invito a leggere meglio la mia introduzione della quale, forse, non hai colto pienamente il senso.
Il fatto che si sia davanti a un problema "delicato e complesso" non significa che ce ne possiamo lavare le mani o che la sua gestione debba avvenire in funzione esclusiva dei nostri interessi (della serie: quando l'assistenzialismo mi fa comodo va bene, eccome... Nei convegni, e sulla stampa, invece lo denuncio e magari mi applaudono...).
Non ti pare che questo sia un po' incoerente? Non ti sembra che sarebbe più giusto lavorare a un progetto di vita realmente accettabile e condivisibile, che parta almeno al raggiungimento della maggiore età? Quando si pensa, altrimenti, di costruirlo? Quando i nostri ragazzi perderanno le ultime capacità che sono rimaste loro e i genitori non ce la faranno più?
Grazie ancora, Adelaide

Anonimo ha detto...

Capisco la concreta preoccupazione che sta dietro alle parole di un genitore e la volontà di costruire percorsi alternativi a una scuola a volte malfunzionante, ma il rischio, a mio avviso, è quello di ricadere nel concetto di scuola speciale, fortemente ghettizzata. L'integrazione vera nella scuola come nello sport può essere attuata e spesso avviene grazie all'impegno e alla convinzione di alcuni. Il problema è che mancano le risorse formative e finanziarie per potenziare un'impostazione corretta nei principi, ma carente nella concretizzazione. Mi si chiedono degli esempi? Volentieri, ma non in questo box, limitato nelle dimensioni come le risorse che i recenti governi riservano alla scuola.
Adelaide

Gianvi ha detto...

Il vero ghetto, cara Adelaide, sono le aule (e più ancora i corridoi) di una scuola che nella migliore delle ipotesi produce solo assistenza, cioè quanto ai disabili è meno utile. E' vero che ci sono poche risorse a disposizione ma quelle che ci sono servono per lo più a mantenere posizioni di rendita ipergarantite (naturalmente le eccezioni esistono, eccome. Ho detto eccezioni.). Gli esempi che ti ho chiesto non me li puoi dare per la semplice ragione che non ne conosci. La storia del box limitato non c'entra, smentiscimi quando vuoi e te ne darò atto. I genitori devono pensare a percorsi alternativi che diventano necessari al compimento della maggiore età. Trascinare quest'agonia ancora per anni servirà forse a mantenere qualche posto di lavoro in più ma sicuramente non servirà affatto a disabili che meritano ben altro trattamento che una sterile assistenza. Questo non vuol dire rinunciare all'idea di una scuola diversa (migliore) ma dobbiamo aver chiaro che oggi la scuola secondaria superiore, in particolare, è in grave crisi. Ti regalo un dato: nel passaggio dalla scuola materna a quella superiore si verifica una contrazione nel numero di allievi autistici frequentanti pari ai 2/3. Lo sapevi? Ti dice qualcosa questo dato?

Unknown ha detto...

In effetti la parola integrazione può essere fonte di molti dubbi sopratutto quando si parla di persone con autismo che ahimè hanno una disabilità sociale. Quando ho portato a all'asilo il mio bambino ho chiesto che cosa avrebbe fatto alla scuola materna considerando che per lui non faceva differenza dov'era,e se era previsto un percorso speciale per la sua disabilità? I responsabili ULLS mi hanno risposto che l'integrazione vien fatta solo con la prossimità sociale con i compagni, allora io ho risposto che neanche con la vicinanza dei fratelli a casa era sortito alcun effetto riguardo la sua ricerca di coetanei, se non per usarli come una prolunga per le sue necessità. Ho avuto la fortuna di cominciare proprio alla materna un percorso di insegnamento di autonomie , comunicazione e insegnamento al gioco, con un supervisore esterno che ha reso la sua permanenza all'asilo e poi successivamente alle scuole elementari e medie. Devo dire che nonostante le mie battaglie per proporre questo percorso che nel 1996 era considerato quasi una violenza sulla natura del mio bambino, ho avuto nella scuola un periodo gratificante e una collaborazione che ha contribuito a moltissimi progressi di mio figlio....so che non sempre è così per altre famiglie

Anonimo ha detto...

L'istituto alberghiero Giolitti, dove si tengono laboratori di cucina che vedono impegnati ragazzi autistici e altri disabili nella preparazione di pizze e focacce per tutti gli studenti e dove il sostegno è continuativo nel corso degli anni; la scuola media parificata del Cottolengo dove esiste un laboratorio sensoriale per far capire a tutti cosa prova un autistico e integrarlo meglio nella classe o nella squadra di rugby, questi sono esempi.
Non entro del merito della questione dei genitori che scelgono di prolungare il percorso scolastico dei figli, ma mi sento di dire che, se anche non è l'unica possibile, la scelta della scuola ha la sua validità.
Adelaide

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